Il settore moda sarà anche in crisi, ma non per tutti. Esempio ne è Osit, azienda romana che dagli anni ‘90 veste le teenager italiane – e poi del mondo – con il marchio “Subdued”. Un’impresa che negli anni ha continuato a crescere e che ha chiuso il 2024 con un fatturato pari a 163,9 milioni di euro, in aumento del 37,6% rispetto al 2023, un Ebitda di 51,5 milioni di euro, raddoppiato in un anno (+100,1%), e una posizione finanziaria netta in miglioramento che registra cassa per 60 milioni di euro.
Numeri notevoli in assoluto ma che sono anche più interessanti considerando il contesto attuale dell’industria del tessile e dell’abbigliamento, che vede in difficoltà anche i colossi come Lvmh, Kering, Benetton e Dolce & Gabbana. E che in Italia, secondo il preconsuntivo generale dell’anno 2024 della Camera Nazionale della Moda Italiana, significa un calo del fatturato del 5,3%, con il 75% delle aziende che ha registrato una flessione anno su anno e con contrazioni superiori al 20% per una su quattro di queste. Ma come riesce Subdued a mantenere questa traiettoria di crescita in un contesto così complesso? A spiegare la strategia vincente dell’azienda è il Ceo Alessandro Orsini.
Orsini, i bilanci di Subdued mostrano indicatori molto positivi anche nel 2024, pur in un periodo complesso per il settore moda. Quali sono i vostri punti di forza?
La nostra strategia si basa su due aspetti fondamentali. Il primo è ciò che abbiamo seminato in passato: un’identità forte e riconoscibile che ci distingue dal mass market tradizionale. Siamo partiti creando dei “fenomeni subculturali” a Roma e Milano, costruendo un vero e proprio club di clienti fedeli. Questo ci ha permesso di mantenere una posizione distintiva nel mercato. Il secondo aspetto è la diffusione del brand. Più il brand è noto, più ha agevolazioni quando entra in un mercato dove è già riconosciuto. Chi sarà il nostro cliente futuro già ne ha sentito parlare o ha già fatto acquisti presso di noi. La divulgazione del brand è quindi un altro punto importante per la nostra crescita internazionale.
Di quanti negozi è composta ora la vostra rete di vendita direct to consumer? L’anno scorso erano circa 85.
Siamo cresciuti significativamente rispetto a quel dato. Attualmente siamo tra i 110 e i 120 negozi, in continua espansione. Questa crescita è parte della nostra strategia di sviluppo che stiamo portando avanti con determinazione, nonostante il momento critico per il settore moda.
Nel ‘24 avete avviato una partnership con Nuo, che ha acquistato una partecipazione del 30%, perché questa scelta?
Più che cercare un partner finanziario volevamo affiancarci a qualche realtà che avesse già fatto esperienza nei paesi dove non eravamo presenti, fuori dall’Ue, e che potesse contribuire alla nostra espansione. Con Nuo abbiamo iniziato questo percorso: siamo in Cina da 4-5 mesi, abbiamo aperto a Shanghai e ne stiamo aprendo un secondo, abbiamo lanciato il canale e-commerce, nei prossimi sei mesi apriremo il primo a New York. L’obiettivo è accelerare la nostra internazionalizzazione in modo strutturato, sfruttando la conoscenza del mercato e le reti di contatti di un player esperto.
Come vedete il futuro del settore moda? La congiuntura vi preoccupa?
Il settore moda e abbigliamento in generale sta attraversando un periodo difficile, e la situazione è preoccupante. Ma Subdued ha sempre viaggiato in controtendenza, crescendo anche nei momenti di crisi. Crediamo che le crisi non debbano spaventare, ma vadano lette come uno spostamento degli assi di consumo. Chi acquistava lusso può scendere di fascia, e questo porta nuove opportunità a chi sa interpretare le esigenze del mercato. Se il prodotto è giusto e il brand forte, non temiamo nulla.
La vostra esperienza in Cina conferma questa visione? Quali sono state le principali sfide in questo mercato?
Sì, perché il mercato cinese sta cambiando. I brand del lusso stanno vivendo un momento difficile, ma chi sa offrire un prodotto di qualità a un prezzo accessibile può intercettare nuovi segmenti di consumatori. La chiave è saper interpretare i bisogni della propria clientela, offrire il prodotto giusto e curare tutta la cornice, dal marketing alla rete di vendita, dai social alla logistica. Entrare in Cina non è stato semplice. È un mercato molto regolamentato e con dinamiche completamente diverse da quelle europee. Abbiamo dovuto adattare la nostra strategia alle preferenze delle consumatrici locali, che hanno un modo di acquistare diverso. L’online è fondamentale: abbiamo aperto un canale e-commerce dedicato ancora prima di espandere i negozi fisici, perché in Cina la fiducia nel brand spesso nasce proprio dal digitale. Inoltre, ci siamo appoggiati a un partner con esperienza nel mercato locale, fondamentale per gestire le complessità burocratiche e logistiche.
Quali sono le principali sfide sui costi che affrontate?
I costi più rilevanti oggi sono legati alla produzione e alla logistica. Non produciamo in paesi a basso costo come il Bangladesh, ma lavoriamo tra Turchia e Italia. Questo garantisce qualità e velocità di produzione, ma i costi sono superiori. Inoltre, le spese di spedizione sono aumentate esponenzialmente con l’e-commerce, sia per la consegna ai clienti sia per la gestione delle merci tra i nostri negozi e la logistica centrale. Anche l’organizzazione aziendale ha un peso sempre maggiore, con investimenti continui nella conformità normativa, nella sicurezza sul lavoro e nella transizione ecologica.
Il vostro modello di business si basa su punti vendita diretti. Come funziona il processo di creazione e produzione di nuovi prodotti?
La nostra realtà è particolare rispetto ad altri brand, perché non ragioniamo in termini di campionari come fanno molte aziende che devono produrre e presentare i modelli ai clienti per raccogliere ordini. Noi, invece, abbiamo un nostro ufficio stile e una direzione creativa interna che lavora su ricerca e sviluppo in modo costante. Durante tutto l’anno vengono pensati nuovi modelli che poi passano al nostro laboratorio interno per essere realizzati come prototipi. Ogni settimana sviluppiamo circa 4-6 nuovi modelli. Se l’ufficio stile approva il modello lo inviamo ai nostri fornitori con una piccola produzione test. Il fatto di non produrre grandi campionari ci permette di essere estremamente reattivi rispetto alle esigenze del mercato, testando e immettendo sul mercato nuovi prodotti in tempi rapidissimi. Utilizziamo sistemi digitali per l’invio dei modelli ai fornitori e riceviamo in breve tempo i pezzi test per verificarne la fattibilità. Una volta approvati, passiamo alla produzione su scala più ampia e li distribuiamo ai nostri negozi. Questo ci consente di evitare grandi scorte di magazzino e rispondere in modo agile alle richieste delle consumatrici.
Quali strategie adottate per minimizzare il problema dell’invenduto? Nel 2023 il suo valore è stato stimato complessivamente tra i 70 e i 140 miliardi di dollari e circa il 20% di tutti i capi prodotti non raggiunge mai il consumatore finale.
Il nostro vantaggio è che produciamo tutto l’anno e possiamo aggiustare le quantità in base all’andamento del mercato. Non facciamo produzioni massive in anticipo, ma lavoriamo su un modello elastico. Il target di invenduto ideale per un’azienda efficiente è attorno all’8% delle vendite, e noi siamo sempre rimasti in questa fascia. Inoltre, abbiamo nostri canali outlet per lo smaltimento e conserviamo i capi continuativi per le stagioni successive. Non facciamo uso di stocchisti o vendite a stockisti esterni, ma gestiamo tutto internamente per mantenere il controllo della qualità e del brand.
La flessibilità sembra sia un elemento chiave per voi. Ma come si riesce a mantenere quando l’azienda cresce così tanto?
Mantenere la flessibilità, pur crescendo, è una delle nostre sfide principali. La chiave è costruire un’organizzazione snella, con processi agili e una supply chain adattabile. Ad esempio abbiamo scelto di non produrre in mercati dove i lead time sono troppo lunghi, come la Cina, e di lavorare in paesi che ci permettono di reagire velocemente alle richieste del mercato, come l’Italia e la Turchia. Un altro elemento essenziale è la gestione dei dati: monitoriamo costantemente le vendite e regoliamo la produzione in base ai trend, evitando sovrapproduzioni o carenze di stock. Questo ci consente di rispondere rapidamente alle esigenze del mercato, mantenendo la nostra identità dinamica anche con una rete in espansione.
Qual è stato il cambiamento più difficile da affrontare?
Subdued è nata da zero, con un solo punto vendita, e nel tempo siamo passati da giovanissimi commercianti a imprenditori. Questo salto di mentalità è stato fondamentale per la nostra crescita ed è stato forse il più complesso, perché implica una nuova visione strategica e la capacità di adattarsi alle nuove dinamiche del mercato.
Per quanto riguarda il 2025, su cosa punterete per affrontarlo?
Per il 2025 abbiamo in programma di continuare la nostra espansione internazionale, consolidando la presenza nei nuovi mercati e rafforzando ulteriormente i canali digitali. La crescita dell’e-commerce è una delle nostre priorità, così come l’ottimizzazione della supply chain per mantenere il livello di flessibilità che ci contraddistingue. Stiamo anche investendo molto in tecnologia, sia per migliorare l’esperienza d’acquisto delle nostre clienti sia per ottimizzare la gestione interna dei processi produttivi e logistici.