Come molti sanno la lingua italiana è amata in molte nazioni che hanno diversa madrelingua. É il suono della nostra lingua che attrae e molti stranieri imparano l’italiano non per ragioni di lavoro, ma solamente per proprio diletto.
Ma noi italiani, al contrario dei francesi che difendono a denti stretti la loro lingua (il computer lo chiamano “ordinateur”), continuiamo anno dopo anno, e sempre con maggior frequenza, a sostituire le nostre parole “italiane” con le parole inglesi! Qualche esempio? Iniziamo dall’ultima acquisizione: televisione e giornali hanno parlato di “dose booster” per il richiamo del vaccino COVID-19! Credo che la maggior parte degli italiani abbia solo percepito per esclusione che si trattasse di un semplice “richiamo”. Costava poi così tanto chiamarla col suo nome di “richiamo”?
Oggi poi parliamo correntemente di “fake news” per dire che si tratta di “notizie false”. La mattina gli sportivi fanno “jogging” per dire che fanno una corsa per ossigenarsi. Di questi tempi ci sono le “call on line” che poi sono “chiamate video tramite internet”. Ho trovato un sito in internet che elenca in ordine alfabetico 60 parole inglesi entrate nel linguaggio comune e che potrebbero essere dette in lingua italiana, senza che nessuno ne fraintenda il significato.
La lingua inglese ha un grande merito: fa parlare il mondo! E popoli, che sono diversi per cultura e lingua, con l’inglese si capiscono e interagiscono. Ma sono altrettanto convinto che un giapponese o un cinese, finita l’interlocuzione con il collega straniero, continui a parlare in patria la sua lingua senza “corruzione” di nomi, parole, espressioni in inglese. Se pensiamo agli inizi del ‘900, nessuna parola inglese faceva parte della lingua parlata italiana. Neppure negli anni ’50 si diceva andare in vacanza nel “week end”, ma semplicemente nel “fine settimana”.
Oggi si nota che c’è quasi una corsa per farsi capire meglio, o così si pensa, utilizzando parole inglesi. L’attrice famosa passa sopra il “red carpet” prima di entrare in teatro ed essere accolta da una “standing ovation”. Enrico Ameri, grande cronista di partite di calcio, quando una squadra segnava esclamava “rete!” e non “goal”, ma ora tutti i cronisti chiamano “goal” la “rete” quando il pallone varca la porta. La Ferrari è in “pole position” e non al “primo posto” in partenza o durante la corsa.
Forse l’uso delle parole inglesi fa più “audience” ovvero “ascolto”?
Anche nei telegiornali che sono indirizzati ad un pubblico molto eterogeneo e soprattutto di cultura diversa (si va dalla 5a elementare alla laurea, per non parlare dei così detti alfabeti di ritorno) si usano sempre con maggior frequenza parole inglesi per esprimere concetti declinabili con la nostra lingua in modo magistrale.
Quanta gente capirà tutti questi anglicismi usati spesso a sproposito?
Osservando questi comportamenti anglofoni che sono sempre più frequenti e insistenti, credo che sia proprio giusto pensare cosa ne sarà della nostra lingua fra 30, 50 o cento anni se andremo avanti così!
Noi che, nell’arco di oltre quarant’anni di attività, abbiamo esaminato migliaia di nomi per valutare se possono avere le caratteristiche per essere registrati come marchi, valutando anche ciò che il loro suono può evocare nel target di riferimento, sappiamo che il suono della lingua italiana provoca una fortissima attrazione in tutti i Paesi del mondo. É frequente, infatti, che passeggiando nelle strade di molte città straniere (una per tutte Pechino), si possano notare insegne di negozi, ristoranti e attività in genere con nomi propri italiani di pura fantasia che non hanno alcun legame di parentela né con i proprietari, né con i loro collaboratori.
Forse l’Accademia della Crusca il più importante centro di ricerca scientifica dedicato allo studio e alla promozione dell’italiano, dovrebbe indirizzare la sua attività e attenzione, oltre che al perfezionamento della lingua, anche alla sua conservazione.
Auguri Accademia!