Le parole sono potenti. Vivere nell’era dell’Umanesimo digitale ce lo sta facendo riscoprire con rinnovato interesse, sebbene la dimensione comunicativarappresenti da sempre il fondamento della convivenza umana. Attraverso il linguaggio, l’uomo si appropria del mondo, attribuendo nomi a ciò che impara a conoscere, instaura legami e indirizza delle azioni capaci di modellare la realtà.
Dunque, quale modo migliore per inaugurare una rubrica dedicata alle diverse sfaccettature della comunicazione digitale se non con una parola? Questa parola è persona: un termine comune che, nell’ultimo periodo, è stato utilizzato in un ambito differente da quello usuale. Parliamo del settore tecnologico con il lancio del rivoluzionario Apple Vision Pro, presentato, dopo una lunga attesa, in occasione della conferenza annuale degli sviluppatori a Cupertino (WWDC, 5 giugno 2023).
Il primo visore a realtà mista
Si tratta del primo visore a realtà mista che, come afferma Tim Cook, attuale CEO del colosso californiano, apre le porte ad un nuovo mercato, lo “spatial computing”, dove i contenuti digitali si fondono perfettamente con lo spazio fisico, combinando realtà aumentata e virtuale. Se da un lato appare evidente come il mondo del gaming accanto a innumerevoli ambiti professionali – si pensi ad esempio all’architettura, alla medicina o alla formazione – attendessero da tempo un dispositivo con simili prestazioni, dall’altro il grande pubblico si trova di fronte ad un vero e proprio cambio di paradigma, che sblocca un nuovo livello di esperienza: a 39 anni dal lancio del primo Mac, la Mela sta stravolgendo il concetto di personal computer, con lo spazio che diventa il desktop.
Caratterizzato da un design sofisticato e futuristico, il Vision Pro è un concentrato di tecnologia innovativa, con oltre 5.000 brevetti depositati. Stellare anche il prezzo: la novità di casa Apple sarà venduta negli Stati Uniti a inizio 2024 per un costo di 3.499 dollari. Una delle funzionalità del visore è denominata “Spatial Personas” e consiste nella generazione, mediante la scansione del volto e l’uso dell’apprendimento automatico avanzato, di una versione tridimensionale dell’utente. Questo avatar virtuale potrà essere utilizzato come modello 3D per le videochiamate su FaceTime o per riprodurre lo sguardo dell’utente mostrato sul display OLED esterno. Dotati di sfondo trasparente e della capacità di ricreare diversi movimenti e linguaggi del corpo, soprattutto delle mani, questi avatar offriranno un’esperienza molto più realistica e immersiva delle semplici riproduzioni grafiche in stile videogioco, attualmente in circolazione.
Una nuova (e antica) identità basata sulla relazione
Sul piano linguistico, è peculiare la scelta di Apple di chiamare gli avatar “persona”, lo stesso nome con cui i latini indicavano le maschere degli attori durante le rappresentazioni teatrali. Il termine latino deriva dal greco “prosopon”, che significa “davanti agli occhi”. Questa etimologia fa riflettere in quanto, oltre alla maschera posta sul volto, può implicare la presenza di qualcuno che ci sta di fronte: nella cultura greca era infatti radicata l’idea di identità non come prerogativa individuale bensì come dono sociale, frutto della relazione con gli altri.
Questo nesso tra relazione e identità assume particolare rilevanza nel contesto delle “Spatial Personas”, progettate per consentire agli utenti di sentirsi “più presenti, come se fossero riuniti nello stesso spazio fisico”. Nel paradigma dello “Spatial computing” che si avvia ad essere la quarta rivoluzione dell’informatica, le barriere cadono, le distanze si accorciano, le interazioni tra persone, macchine, oggetti e ambienti diventano intelligenti creando nuove esperienze di incontro e scambio, capaci di portare valore e senso alle nostre vite.
Ecco perché oggi più che mai le parole rivestono un ruolo cruciale: sono imprescindibili per pensare. Servono per rappresentare, interpretare e attribuire significato ai nuovi mondi, abilitati dalla tecnologia. Privi del linguaggio, non possiamo stabilire relazioni significative con gli altri e fondare la nostra stessa identità.
*L’articolo è stato pubblicato sul sito di Goodjob.vision