“Smettiamola di far finta di nulla e di raccontarci che i meccanismi di controllo avrebbero permesso di non scaricare sui contribuenti il costo delle crisi bancarie. Dopo il crack della Lehman si è completamente rivisto il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie. La vigilanza è diventata pervasiva ed estremamente onerosa per gli stessi soggetti vigilati. Per anni i mercati sono stati inondati di liquidità e ora, con lo scoppiare dell’inflazione, i nodi vengono al pettine. Che la si possa fermare non è detto, perché il calo demografico provoca una crisi del mercato del lavoro che porterà ad un aumento dei salari. E se non si ferma quelle banche e assicurazioni che hanno investito su obbligazioni rischiano di saltare.
Come sempre è netto Massimo Malvestio, l’avvocato trevigiano che da anni vive nel principato di Monaco e con la Praude asset management amministra tre fondi di investimento che regolarmente vengono giudicati tra i migliori nella loro categoria. Il suo fondo Hermes Linder ha un rendimento composto dell’’11,5% all’anno su 18 anni. Due anni fa lo avevamo intervistato per capire se eravamo di fronte a rischi di crisi e già allora, quando tutte le autorità predicavano che l’inflazione era sotto controllo, lui aveva lanciato l’allarme sostenendo che prima o poi sarebbe scoppiata e che bisognava prepararsi a questa pericolosissima eventualità (gli stessi temi sono stati ripresi anche lo scorso anno, quando l’inflazione ha mostrato i primi segni di accelerazione).
Avvocato Malvestio, siamo alle porte di una crisi sistemica?
Quella di Deutsche Bank per ora è solo una crisi di Borsa. Più preoccupanti invece sono i casi, in Germania, di Aareal Bank e Deutsche Pfandbriefbank che non sono proprio piccolissime banche come si è raccontato sui quotidiani italiani, consideriamo che Aareal Bank ha 50 miliardi di attivi, Deutsche Pfandbriefbank ne ha 55 miliardi. Il fatto che non abbiano richiamato alla scadenza i loro prestiti AT1 aggiunge un ulteriore ombra a questo tipo di apporti al capitale di rischio delle banche dopo quel che accaduto al Credito Svizzero dove questo tipo di apporti sono stati cancellati per intero. Deutsche Bank e Societè Generale, due banche di grandissima dimensione di straordinario nome e tradizione, trattano in borsa a meno di 0,3 di rapporto tra prezzo di borsa e mezzi propri contabili. Un rapporto straordinariamente basso ma anche in Italia ci sono importantissime banche che trattano a meno di 0,4. BTG Pactual entrò in MPS partecipando ad uno dei primi aumenti di capitale di una lunga serie. La famiglia Malacalza entrò in Carige con un apporto di centinaia di milioni di euro. Credo siano esperienze troppo recenti per non avere lasciato un ricordo indelebile negli investitori. È davvero pericoloso entrare in una banca che è già in difficoltà e che è in mano, di fatto ai regolatori. I sauditi con Credit Suisse hanno avuto una lezione simile. Credo quindi che non ci saranno capitali privati né per aumenti di capitale, né per altre forme di apporto di vero capitale di rischio delle banche. È già questo è un dato gravemente anomalo che suggella una crisi.
Da dove nasce secondo lei il problema?
Il problema nasce dalle risposte gravemente sbagliate che si sono date alla crisi della Lehman, alla normativa che ne è seguita e al tipo di ruolo che hanno assunto i regolatori. L’occasione per far vedere che il re è nuovamente nudo è dato dalle minusvalenze – cioè le perdite – che ci sono nei portafogli titoli di banche ed assicurazioni. Solo due anni fa, i regolatori, cioè coloro i quali dovrebbero anche vigilare sulla stabilità delle banche e delle assicurazioni, dicevano, con molta convinzione, che l’inflazione non sarebbe venuta e se fosse venuta sarebbe stata una fugace apparizione. Gli stessi regolatori, nelle vesti di banche centrali, da dieci anni avevano allagato di liquidita il mercato e i tassi continuavano a scendere così che nessuno comperava più i titoli a lungo termine per ottenere un rendimento ma solo per ottenere un apprezzamento di capitale: il decennale di molti stati europei, infatti, aveva un rendimento negativo. C’è stato chi ha creduto che questa bizzarra situazione sarebbe durata in eterno perché – si diceva – l’inflazione – grazie alla tecnologia e grazie a migranti e globalizzazione – era definitivamente scomparsa. L’unico modo per avere un rendimento positivo era comperare titoli con scadenze sempre più lunghe e di emittenti dal merito di credito sempre più modesto: due cose che una banca non dovrebbe mai fare con il denaro dei risparmiatori. Qualcuno lo ha fatto e adesso che un’inflazione seria – ma non ancora devastante – si è riaffacciata, le banche centrali, che dapprima hanno continuato a dire che si trattava di un fenomeno temporaneo, hanno dovuto alzare i tassi ad una velocità che non si era mai vista nella storia. Si potrebbe dire che hanno appiccato l’incendio senza neppure dare il tempo di raggiungere le uscite di sicurezza. Quindi adesso le perdite sono tanto maggiori quanti più titoli a lungo termine e tasso fisso ci sono nei portafogli. Queste perdite non sono state contabilizzate o vengono contabilizzate soltanto in parte. Ciò è legittimo ma non cambia in nulla la sostanza del problema. Adesso o i tassi scendono anche e soprattutto per effetto della crisi che si sta innescando oppure le perdite per molte banche ed assicurazioni saranno cristallizzate. Quando i depositanti cominciano a capirlo succede quel che è successo a Silicon Valley bank. O a Eurovita per non andare troppo lontani.
Mi pare di capire che non è a suo avviso solo un problema di fiducia e di voci incontrollate
Quali voci incontrollate? Quelle di quei regolatori che con comunicati ufficiali garantivano che gli indici di patrimonializzazione e di solvibilità di chi è saltato solo qualche giorno dopo erano eccellenti? Se fosse questo il problema la soluzione sarebbe elementare: si dia ampia trasparenza ai portafogli titoli e alle posizioni in derivati di ciascuna banca, si facciano i conti a valori di mercato, si dimostri così la splendida salute di cui godono e si dimostri che gli indici imposti dalle regole di vigilanza sono rispettati non solo nella forma ma anche nella sostanza. A questo punto, solo a questo punto, si proceda per aggiotaggio contro chi diffonde “voci incontrollate”
Queste minus-valenze non vengono compensate dal fatto che i prestiti che le banche hanno concesso rendono di più con l’inflazione in crescita?
Facciamo un’ipotesi: se hai una raccolta pari a 1.000, di cui 800 sono stati impiegati con prestiti a tasso variabile, lì i margini sono effettivamente cresciuti. Però sui residui 200 che hai impiegato in Btp a 10 anni e che avevi comprato quando i tassi erano sotto l’1% perdi e basta. Poi consideriamo che ci sono banche che hanno prestato pochissimo e sono piene di bond. Le banche sugli impieghi e sugli investimenti si sono comportate – per fortuna – l’una in maniera diversa dall’altra. Ripeto soltanto conoscendo la situazione di ciascuna banca si può dare un giudizio. Il problema è che solo essere qui a parlarne è già un fatto molto grave. La certezza è che le banche italiane – e non solo italiane ovviamente – hanno centinaia di miliardi di bond, e una parte importante a lungo termine, e che c’è stata una gran volatilità. Quindi è altrettanto sicuro che ci siano state delle perdite. Che poi le contabilizzino ora o no è un altro discorso. Il problema è che il fatto è noto a tutti ed incide sulla fiducia dei depositanti. A destare preoccupazione sono alcuni segnali, come ad esempio quello di una importante banca straniera che sta offrendo il 3,5% garantito sulle polizze di ramo 1, il che vuol dire che cercano disperatamente di fare raccolta. Sono gli stessi che lo scorso anno non arrivavano ad offrire nemmeno l’1%.
Eppure è opinione comune che in questi anni le banche italiane ed europee si siano irrobustite, e che rispetto al 2008 il sistema sia oggi più solido. Tanto che non sono pochi gli osservatori che imputano il possibile esplodere di una crisi a fattori emotivi e non sostanziali…
Ho la sensazione che chi parla così non abbia il quadro esatto della situazione. Nessuno, che non sia all’interno del sistema banche- regolatori, può dire di avere dati sufficienti per dare un giudizio ponderato. Non c’è trasparenza. I bilanci sono datati e insufficienti se posti in relazione alla volatilità di questi mesi e all’ampiezza dei dati che offrono. Si sa che potrebbe esserci un problema e quel che abbiamo visto fino ad ora fa capire quanto serio può essere il problema. Vedere che c’è gente che parla con certezza assoluta è un altro motivo, di per sé, di preoccupazione.
Ad entrare in crisi, a differenza del 2008, non sembrano essere solo le banche, ma anche le assicurazioni. Cosa sta accadendo su questo fronte?
Le assicurazioni sono altrettanto esposte a potenziali perdite. Basta guardare al caso Eurovita, su cui vigilava e vigila Banca d’Italia (attraverso l’Ivass). In generale tutte le compagnie assicurative che hanno investito negli ultimi anni in titoli a lungo termine e che hanno una base di sottoscrittori che può riscattare le polizze in qualsiasi momento, sono esposte a perdite potenziali notevolissime. Poi, se intervenire per salvarle o meno, sarà una scelta politica. Quello che vediamo è che semplicemente non rimborsano gli assicurati. Eurovita ha centinaia di migliaia di assicurati, gente che se pensava di avere 100 di pensione e ora potrebbe avere forse 60, forse 70, nessuno può dire quanto. C’è da dire comunque che la crisi delle assicurazioni, pur estremamente grave sul piano reputazionale ed ovviamente per i soggetti direttamente coinvolti, è più facilmente circoscrivibile.
Quindi a suo modo di vedere una crisi come quella del 2008 potrebbe scoppiare di nuovo? E quali possono essere gli antidoti?
Il problema è l’inflazione. Se si riuscisse a fermarla, le banche centrali potrebbero serenamente riabbassare i tassi, tornare alla loro occupazione preferita e cioè stampare denaro. Così i titoli che hanno originato questa crisi si rivaluterebbero e i problemi verrebbero meno. Magari la cura all’inflazione porterebbe altri effetti collaterali, anche assai gravi, ma questi problemi si risolverebbero. È per questo che i tassi sono stati alzati così in fretta, per cercare di mettere un freno ad una dinamica che però rimane largamente imprevedibile. Intanto perché sono 10 anni che si stampano soldi e c’è ancora tanta liquidità in giro, e in più, perché non c’è disoccupazione. Lo dimostra il fatto che nonostante i rialzi, l’inflazione non si è fermata. Il calo demografico, in questo senso, spinge a favore di aumenti salariali. Stanno ritornando gli scioperi in Francia, in Gran Bretagna e perfino in Germania. Il rischio che si avvii una spirale inflazionistica legata all’adeguamento di salari e stipendi è molto concreto. E una volta avviata sarà difficile interromperla. Ci sono poi altri fattori che spingono l’inflazione come le politiche Esg e il reshoring. Non dimentichiamo poi che col Pnrr si gettano altri soldi nel sistema. Poi c’è il fatto che i governi, non solo in Italia, adottano sempre più la politica del dare garanzie, favorendo così a loro volta l’accesso al credito e la circolazione monetaria. Sono forze che si contenderanno il campo con le forze deflattive come gli sviluppi tecnologici o l’immigrazione.
E quindi come si potrà risolvere la situazione?
La trasparenza che sarebbe la via maestra mi pare di capire che sia una via che non piace ai regolatori. Mi sembra inevitabile che alla fine si debba ricorrere al denaro pubblico e quindi pescando dalle tasche dei contribuenti per salvare nuovamente il sistema. Per quanto possa costare e per quanto possa dar vita a soluzioni inique sarà sempre la soluzione più conveniente rispetto ad una crisi bancaria. Non vedo altra strada che fare così, come d’altronde è stato fatto in Svizzera nel caso di Credit Suisse: se non ci fosse stato lo Stato a garantire i buchi e la banca centrale a dare 100 miliardi di liquidità, l’Ubs non l’avrebbe mai presa. D’altra parte le banche negli ultimi anni sono state sottoposte ad una tale grado di regolamentazione, con un enorme assorbimento di risorse a questo fine, che se sono causa di un problema mi pare chiaro che la responsabilità prima è in chi le ha regolate. Quindi la pubblicizzazione del rischio d’impresa e forse dell’intero sistema è una soluzione coerente con il finto liberismo di questi ultimi anni e la sua inevitabile conclusione.