I fatti e i numeri descritti in questo Speciale generano una prospettiva di osservazione interessante e nuova e su fenomeni e concetti organizzativi non tutti così recenti. Attraction e retention sono realmente parole che solo negli ultimi tempi si sono diffuse ampiamente nel dibattito tra attori aziendali. Quando tuttavia si entra nel terreno del “cosa fare” per aumentare la capacità di attrarre e trattenere i collaboratori, ci si imbatte in un tema antico e per questo non altrettanto di moda, che personalmente faccio coincidere con l’arte di organizzare. Attraction e retention, al netto di iniziative “pirotecniche” e occasionali che possono portare al “quarto d’ora di celebrità” à la Warhol (da non buttar via in ogni caso in questi tempi dominati dalla comunicazione social) sono effetti di uno sforzo di medio – lungo termine che può partire dalla sensibilità e dalla managerialità dell’area Hr, ma richiede uno sforzo corale e culturale di tutto il management e della proprietà.
Per aziende che non siano già molto solide su questa dimensione, “fare” attraction e retention significa realizzare progetti di innovazione organizzativa. Come è accaduto in riferimento a sfide che nel tempo hanno visto coinvolte le aziende (da precorritrici o da follower): si pensi alla Qualità degli anni Novanta o ai processi di digitalizzazione di operations e uffici tuttora ampiamente in corso, o alla più recente attenzione concreta alla Sostenibilità. Occasioni preziose per “mettere ordine” nei processi organizzativi. Fasi in cui istanze esterne hanno alimentato la propensione al cambiamento: i clienti, le filiere, i progetti governativi 4.0 e infine le istituzioni nazionali e sovranazionali rispetto alla Sostenibilità.
Oggi l’impresa è stimolata a mettere al centro i collaboratori, a partire da coloro che non sono ancora saliti a bordo e che, soprattutto se giovani, pongono domande stringenti e nuove sul paesaggio organizzativo che andranno ad abitare. Istanze di poco conto, si potrebbe ironizzare se non fosse tutto vero, come il livello di attenzione alla conciliazione vita-lavoro, alle politiche ambientali, al clima organizzativo, alla formazione come occasione di apprendimento e di professionalizzazione. Nella prospettiva di quel vecchio e noto arnese che è la piramide di Maslow, è un po’ come se la generazione più recente “vedesse” solo il vertice, dopo l’impegnativo (e prezioso) lavoro di ascensione condotto dalle generazioni precedenti, che in termini macro (società, corpi intermedi e legislazione) e micro (vita organizzativa) ha contribuito a migliorare il paesaggio di cui sopra.
Che cosa accade quindi nelle imprese che vogliono fare innovazione organizzativa? Per certi versi qualcosa di analogo a chi pratica l’innovazione di prodotto, pur coinvolgendo attori in parte diversi. È un parallelismo che forse può essere ispirativo, innanzitutto perché richiede una sinergia non scontata tra metodo e creatività. Dove non ci sono ricette, nel terreno della complessità, è fondamentale agire con progetti-prototipo, magari imperfetti e su piccola scala, per osservare rapidamente il loro effetto sui destinatari. Ho visto tanti HR mettere a punto iniziative nel terreno dell’attraction e dell’employer branding anche circoscritte e a basso budget, mettendo grande attenzione nel sondare e misurare la percezione dei candidati e dei collaboratori per renderle eventualmente più sistematiche e diffuse. Questa capacità di chiudere il cerchio genera un importante apprendimento organizzativo, analogamente allo sviluppo del know-how sui nuovi prodotti. Dove la natura delle istanze citate richieda una risposta organizzativa “strutturale” (in particolare nel terreno della retention), va detto che fortunatamente le mappe a disposizione sono consolidate, sia in termini di pensiero organizzativo che di strumenti al servizio dell’arte di organizzare. Si pensi agli interventi sul clima e sulla cultura organizzativa, sugli stili e sulle funzioni del management e infine sui processi: tutti elementi che influenzano l’employee experience descritta da Leonardi nel caso Enersys.
Per questo la capacità organizzativa e manageriale di rendere sistematici questi cambiamenti richiede pazienza e saggezza da parte del management e della governance delle imprese. Quando si interviene ad esempio su aspetti concreti che modificano il DNA culturale dell’azienda (come accade quando si sviluppano focus sugli obiettivi e sulla fiducia come premessa per un lavoro ibrido efficace e attrattivo), si pensa a tempi lunghi e ad effetti non immediati, in certi casi a fronte di investimenti significativi come avviene per la digitalizzazione dei processi Hr o lo sviluppo di Corporate academy. Pazienza e nervi saldi che si rivelano particolarmente preziosi in fasi in cui l’economia sia un po’ meno in crescita e i giri del motore aziendale rallentano, tempi in cui la saggezza può assumere, agli occhi dei collaboratori e del mercato del lavoro, la fisionomia dell’autenticità.
*Specialist Sviluppo Organizzativo Niuko