Dal Covid in poi, il nostro tessuto industriale ha vissuto anni che definire altalenanti è riduttivo. Abbiamo assistito a crolli e rimbalzi improvvisi, balzi nei costi delle materie prime e oscillazioni dei prezzi dell’energia, seguiti da nuovi rialzi, per poi passare a un riassetto quasi quotidiano delle catene logistiche, complice l’impennata dei noli e i blocchi dovuti ai conflitti internazionali. Mutamenti che oggi si accompagnano a trasformazioni tecnologiche e di costume tali da prefigurare profondi cambiamenti, se non drastici ridimensionamenti, in settori chiave della manifattura come l’automotive o la moda. Tuttavia, dentro la crisi si possono rintracciare alcune tendenze di fondo, a volte tutt’altro che negative.
Più grandi, più manageriali
La prima tendenza riguarda la crescita dimensionale delle nostre imprese. Questo processo risponde a due fattori principali. Da un lato, assistiamo a un consolidamento verticale in diversi settori, dove il numero complessivo di aziende diminuisce man mano che le imprese leader si rafforzano. Sono sempre più numerose aziende come Brembo o Calzedonia (Oniverse) che si proiettano verso la soglia dei quattro miliardi di fatturato e altre come Comer o Cereal Docks che hanno da tempo superato la soglia del miliardo. Come racconteremo in una ricerca di prossima pubblicazione, di queste Imprese Top, in Italia ne conteremo almeno duecento.
Questa tendenza è frutto di un duplice fenomeno. Da una parte di una vocazione a crescere da parte delle imprese più dinamiche. Dall’altra da una difficoltà di gestire i ricambi generazionali, con piccole realtà che non trovano alternative alla chiusura e altre, più grandi, che scelgono di cedere a fondi che, in alcuni casi contribuiscono a farle crescere, in altri ad affondarle.
Per anni si è imputata all’industria italiana la scarsa dimensione media come tallone d’Achille. Oggi, invece, si può dire che la crescita c’è, e procede a un ritmo non trascurabile. Una crescita accompagnata da una cultura manageriale sempre più strutturata, secondo modelli non più soltanto mutuati dal mondo anglosassone. Si intravede piuttosto una “via italiana” alla managerializzazione, come ben illustra Sergio Novello, amministratore delegato di Sonepar Italia, nel suo recente libro “Imprese al futuro”.
La via pragmatica alla sostenibilità
La seconda direttrice di cambiamento è la transizione green. Un tema centrale che approfondiremo anche al prossimo Festival della Green Economy di Parma. Finora ha prevalso una narrazione acritica, talvolta ideologica, che ha finito per innescare una sorta di “rivolta vandeana” nel mondo industriale e finanziario, e persino fra l’opinione pubblica. Il rischio, molto concreto, è che questa reazione sfoci nella negazione di un problema – quello climatico-ambientale – che già oggi produce danni pesanti, non solo sul piano ecologico ma anche in termini economici. Ma se spostiamo lo sguardo dalla propaganda alla realtà vediamo un mondo dell’impresa che si misura pragmaticamente con i problemi e vede, ad esempio, come fa il ceo di Renault Luca De Meo, soluzioni che contemplano un futuro per l’auto che prevede l’elettrico i mezzi di piccole dimensioni ad uso cittadino, l’ibrido per le medie percorrenze e motori tradizionali ma più efficienti per le lunghe distanze. La politica europea saprà ascoltare queste voci? Con tutti i limiti e i difetti costituitivi dell’Unione non c’è dubbio che non vi siano alternative.
Il fronte più delicato su questo terreno è in ogni caso senza dubbio quello dell’energia, dove gli imprenditori lamentano tariffe tali da portarli in alcuni casi fuori mercato, e che va affrontato necessariamente in chiave di volontà politica. L’obiettivo di sostituire progressivamente i combustibili fossili con fonti alternative s’imbatte infatti con ripetute contrarietà che paralizzano le scelte: lobby contro il nucleare in ogni sua forma, comitati che si oppongono alla realizzazione di impianti fotovoltaici o eolici, e così via. Le imprese da parte loro, come racconta Alessandro Macciò nel libro “Elettrificare per crescere”, stanno imboccando la via dell’elettrificazione ma è evidente che o il tema energia diventa strategico per il Paese e viene affrontato con il metodo “Ponte Morandi” o la somma dei micro-interessi ci ridurrà schiavi delle fonti fossili o comunque delle produzioni provenienti dall’estero.
Gli ingredienti per vincere le nuove sfide: cassa, capitale umano e tecnologie
Quasi a prescindere dai fattori sopra elencati, per vincere le diverse sfide, le imprese “champions” dovranno fare ricorso sempre più agli ingredienti che ne hanno decretato il successo. Innanzitutto, devono continuare a mantenere una elevata solidità patrimoniale per avere la capacità di cogliere le opportunità di shopping che si presentano nelle fasi di crisi. Poi dovranno continuare a investire sul capitale umano, adottare una gestione manageriale efficiente e puntare su una flessibilità nei processi interni che consenta di rispondere ai continui mutamenti del mercato. Anche l’internazionalizzazione resterà cruciale, con un’attenzione particolare ai mercati in crescita. Ma la sfida decisiva è forse oggi quella della rivoluzione tecnologica, trainata dalle soluzioni di intelligenza artificiale.
L’AI non va certo mitizzata, ma ancora meno demonizzata. Da parte delle imprese serve, piuttosto, un approccio pragmatico e consapevole, teso a trovare la propria specifica via d’implementazione. In un momento in cui i mercati globali si stanno ridefinendo su basi nuove, saper connettere managerialità, sostenibilità e AI è ormai un requisito imprescindibile per chi voglia restare competitivo.