Per molti formatori si tratta di un gioco “evergreen”: il partecipante al corso è in piedi al centro di un piccolo cerchio di altre persone. E’ bendato e viene invitato a sbilanciarsi nella direzione che preferisce, fino a perdere l’equilibrio e sentire che ci sono mani e muscoli che lo sostengono. Non servono parole in questa fase, perché spesso si impara di più attraverso il corpo che mediante il ragionamento. Quando poi in una fase retrospettiva il protagonista descrive l’esperienza, racconta spesso di un brivido, che dura pochi istanti, tra il momento in cui viene meno l’equilibrio e quello in cui ci si sente sorretti. Nella definizione stessa del concetto di fiducia c’è l’idea affidarsi a qualcuno in condizioni di incertezza e vulnerabilità, della perdita di una quota di controllo sul mondo esterno.
Anche tra gli attori economici, e in particolare nei processi di innovazione, accade qualcosa di analogo, che può diventare virtuoso, se gestito con attenzione. Quando l’innovazione si gioca in particolare in una logica “open”,ovvero attraverso la collaborazione tra imprese (o tra un’impresa e un team esterno), si mette in conto di rinunciare alla piena “controllabilità” del processo di sviluppo di prodotti, servizi, business model. Per inciso, in tempi più ordinati e meno “digitalizzati” si considerava l’organizzazione (“la gerarchia”) come un potente fattore di (rassicurante) controllo sui processi di innovazione: i nuovi prodotti nascevano tra le mura di una sorta di castello con pochi e sicuri ponti levatoi che garantissero la piena appropriabilità degli sforzi di innovazione.
Nel corso dell’evento Niuko del percorso Maps for Future “Open learning: l’apprendimento tra le generazioni negli ecosistemi dell’innovazione” abbiamo ascoltato storie di imprese che praticano l’open innovation e che fanno riflettere sulla grande varietà di forme che assumono le “strategie della fiducia”.
I racconti emersi durante l’incontro ci interrogano su un tema: di che cosa ci si deve fidare nei progetti di open innovation? Innanzitutto di attori esterni che non si conoscono ancora bene: è il caso ad esempio di Cesare Dal Monte, general manager di GER Elettronica che ha deciso di affidare a Matteo Pozzi, Ceo e cofunder del Polo tecnologico Elevator Innovation hub e al team della sua Ensys lo sviluppo di tecnologie di visione artificiale che hanno arricchito di intelligenza le loro macchine per la misurazione nell’ambito della concia.
Nel caso di Luigi Rubinelli, direttore tecnico e R&D di Conforti spa, la fiducia è stata riposta in un “approccio innovativo all’innovazione”: Carlo Bianchi, founder Frontiera, ha proposto un contributo esterno attraverso un format di Startup-as-a-Service. Si tratta di un supporto che ha consentito all’azienda di sviluppare dell’innovazione realmente “disruptive”, senza interferire con i normali processi di innovazione e con il business del committente e senza richiedere lo sforzo di gestire l’iniziativa che le normali startup necessitano.
Federica Destro, Program & community specialist di Z-CUBE, l’open Accelerator di Zambon Group, descrive l’esito del suo impegno costante di scout di start-up: il management della Casa farmaceutica si fida di “salire a bordo” di alcune iniziative. Di scommettere su progetti che si collocano al di fuori del “focus cognitivo” dell’azienda, ovvero di quell’intelligenza collettiva aziendale che permette di vedere opportunità che i competitor non colgono e che alimenta la possibilità di fare innovazione esplorando.
Infine, Alberto Salmistraro, general manager Eneren Srl, dimostra con i fatti di fidarsi dei giovani: l’età media del gruppo di imprese a cui appartiene la sua azienda è di 37 anni. Il tema del ruolo dei giovani nei processi di innovazione è in realtà trasversale a tutte le esperienze descritte che li vedono come protagonisti dei processi di apprendimento e di open innovation: il webinar si inserisce tra le azioni dell’Iniziativa Strategica Fondirigenti “Cross-generational learning: le condizioni organizzative e formative per un apprendimento efficace”. Nelle interviste svolte nell’ambito della ricerca la forza di queste generazioni viene abbinata spesso ad un modo di affrontare i problemi fluido, veloce, grintoso. Il compito manageriale (complesso) è la capacità di combinare questi ingredienti con l’esperienza delle altre generazioni presenti in azienda.
Tornando alla metafora corporea, queste ed altre strategie della fiducia ricordano la capacità richiesta in molti sport, ad esempio nello sci entrando in curva, di “portarsi avanti con il peso”, di pro-gettarsi. E’ una postura controintuitiva, vissuta all’inizio come rischiosa perché sembra di cadere, ma in realtà offre un maggiore controllo sulla traiettoria. Un po’ come accade in queste storie di innovazione, che si confrontano con una fiducia tutt’altro che cieca, che sa “aprirsi”, decidere e progettare in quello spazio virtuoso dove finisce il rassicurante terreno del calcolo e comincia a fare la differenza la capacità di giudizio.
*Psicologo delle organizzazioni, Niuko