Il profumo delle pagine di un libro. Il rumore del loro scorrere, quello di una copertina che si chiude. Nonostante l’avvento degli ebook, sono tutte sensazioni che conosciamo e che evocano qualche ricordo in noi. Il supporto che le scatena – quelle pagine di forma perfetta, quell’inchiostro disposto in maniera così ordinata in lettere (e le lettere in parole, e le parole in frasi), l’immagine di copertina – tendiamo a darlo per scontato. Eppure quello che ci sta dietro potrebbe essere una sorpresa.
Chi si immaginerebbe che nel magazzino di un’azienda di libri girino tre robot per la movimentazione, in grado di spostare il materiale dove, in base ai loro calcoli, è più funzionale metterlo a livello logistico? E chi che ci sia una macchina che inscatola i libri e, sempre in maniera automatica, arriva persino a chiudere i pacchi con lo scotch? O che i fogli di carta siano spostati da delle ventose?
E con lo stesso fascino con cui si possono osservare i fogli di carta stampati (che prima erano una lastra) passare per una serie di macchinari che li tagliano, li piegano, poi li cuciono tra loro e incollano alla copertina, così non si può rimanere indifferenti davanti alle lavorazioni aggiuntive realizzate artigianalmente su certi libri, quelle che in gergo tecnico si chiamano ‘nobilitazioni’. L’anima di L.E.G.O. (all’anagrafe Legatoria Editoriale Giovanni Olivotto) potrebbe essere racchiusa qui, in un processo in cui tutto è votato a garantire la qualità del prodotto finale. E le sensazioni che poi ogni lettore si porterà con sé.
L’unione tra automazione e artigianalità la spiega la storia dell’azienda. “Era il 1900 – racconta Rosa Olivotto, azionista e ad di L.E.G.O. – quando il mio trisnonno, Pietro, si è messo in proprio nel campo della legatoria, aprendo un piccolo laboratorio”. Sarà il figlio Giovanni a piantare il seme dell’industrializzazione dei processi tra gli anni Venti e Trenta: “Aveva comprato una macchina per facilitare la realizzazione delle copertine: la moglie non era d’accordo e finirono per litigare per questo motivo”, dice l’ad con un sorriso.
Dopo la Seconda guerra mondiale (quando peraltro lo stabilimento di L.E.G.O. venne danneggiato da un bombardamento) Giovanni e il figlio Piero avevano bisogno di più spazio, così bonificarono un’area paludosa a pochi chilometri da Vicenza e vi posero la sede della Legatoria: “Quell’area sarebbe diventata l’odierna zona industriale berica – dice l’ad Olivotto –, ma ricordo ancora quando le rane ci cantavano”.
Poi negli anni Settanta l’azienda attraversa una fase di crisi: all’epoca si occupava esclusivamente della fase di legatoria e operava solo in Italia. Giulio, rappresentante della quarta generazione, cambia tutto: “Nessun legatore era mai diventato anche stampatore né era sbarcato all’estero: con mio padre e la sua visione pionieristica questa cosa cambiò”. E così L.E.G.O. arrivò in Inghilterra e in Francia (poi negli Usa, in Germania e nel Middle East) e iniziò a trasferire in house tutta la produzione.
Oggi le sedi di L.E.G.O. sono due, una a Vicenza e l’altra a Trento. La prima è dedicata alla stampa piana (un processo in cui il trasferimento dell’immagine dalla lastra litografica alla carta non è diretto, ma avviene attraverso un sistema di rulli), la seconda a quella rotativa (quella che associamo alla realizzazione dei giornali). In tutto occupano circa 650 dipendenti.
“La forza dell’azienda sono le persone, però, non le macchine”. E questo vale ancora di più in un settore come quello di L.E.G.O., “di nicchia, in cui da sempre c’è difficoltà a trovare le risorse adatte”. Dato di fatto che, anziché come un ostacolo, è stato vissuto come sprono: “Siamo abituati a formare internamente e affiancare”. Anche per questo nel 2020 è nata un’academy interna, una “scuola dei mestieri” dedicata alla crescita professionale dei dipendenti, che mettono in condivisione e trasferiscono le loro competenze.
Ogni anno L.E.G.O. lavora 40 mila tonnellate di carta. Rappresentarsi questa quantità non è facile. Carlo Nardi, group head of human resources, ci viene in aiuto: “È l’equivalente di 1.600 tir”. Arriva per il 90% da cartiere certificate del Nord Europa, che ripiantano gli alberi. Viene trasformata in libri per il tempo libero, fotografici, scolastici o religiosi, in agende o in manga, destinati per il 75% all’estero.
Non viene buttato via nulla. Non i rifili tagliati dalle pagine, che vengono pressati nell’ottica di diventare poi carta riciclata. Non i bancali su cui vengono trasportati i materiali: “Li trasformiamo in cippato, che poi mandiamo alla centrale termica. E così riscaldiamo lo stabilimento” aggiunge Nardi. Nemmeno la polvere che risulta dalle lavorazioni (e non è un’esagerazione): “Se andasse nei macchinari, rischierebbe di danneggiarli: anche questa può tornare a essere carta”.
L’andamento del prezzo di questo materiale ha messo alla prova l’azienda vicentina. Anche perché non può essere acquistata in quantità eccedenti l’utilizzo e poi ‘stoccata’. Lo spiega Nardi: “La carta ha bisogno di un temperatura costante e non può essere tenuta sotto la luce diretta del sole”. E lo testimonia l’umidità della sala dedicata alla stampa, diversa da tutte le altre e sempre controllata. “Noi ormai abbiamo la capacità di analizzare il mercato e comprarne la quantità che ci servirà, evitando sprechi”.
“Nel 2020 – afferma l’ad – l’effetto potenzialmente disastroso del rimbalzo dei costi è stato mitigato dall’aumento della domanda, dovuto al fatto che la Cina iniziava a chiudere”. Nel mercato europeo, infatti, il 90% dei libri proviene da lì. C’entra poco che sia dove è nata la carta: “È una questione di competitività dei prezzi, che dipende da un costo del lavoro più basso. E dal fatto che non ci sia attenzione ai fattori Esg”. Per chi, come L.E.G.O., dà “per scontata” la sostenibilità, suonano come una beffa le pressioni messe agli Stati già virtuosi su questo piano.
Nonostante le difficoltà, i ricavi dell’azienda sono balzati dai 105,9 mln del 2016 ai 140,3 mln del 2022. Il margine lordo, invece, tra 2020 e 2022 è prima salito da 13,4 mln a 16,4 mln e poi sceso a 12,6 mln, e l’utile netto è passato da 6,8 mln a 10 mln a 7,5 mln. A riprova della solidità dell’azienda, però, lo scorso anno “L.E.G.O. ha chiuso con un leggero calo del fatturato, che però non ci ha danneggiati, e un Ebitda migliore”.
Ora i prezzi della carta stanno tornando a salire e la Cina ha ormai riaperto: il 2024 si prospetta difficile, ma L.E.G.O. ha le spalle grosse. Questo sarà anche l’anno in cui tornerà Drupa, la fiera dell’industria della stampa che manca da otto anni (si svolge ogni quattro e nel 2020 non ha potuto aprire i suoi padiglioni per ovvi motivi). “Nel nostro mondo, la vera incognita per il futuro è quali investimenti tecnologici sarà necessario fare. Inizialmente realizzavamo i nostri stessi macchinari, poi non è stato più possibile, ma collaboriamo ancora con i costruttori”.
La tecnologia usata oggi nella legatoria è quella degli anni Ottanta, dove si può migliorare ancora è nella stampa: “Quella digitale sarà il futuro: oggi, però, i costi per garantire la stessa qualità sono proibitivi”. E, sempre in fatto di digitale, ma lato lettura, per Rosa Olivotto “gli ebook sono una minaccia più teorica che reale”. Se le si chiede di guardare ai 150 anni dell’azienda (e anche oltre) risponde con una battuta cinematografica: “Tra i costruttori di libri ne resterà solo uno: e vogliamo essere noi”.
Legatoria Editoriale Giovanni Olivotto è una delle 1.000 imprese Champions selezionate dal Centro Studi ItalyPost e L’Economia del Corriere della Sera. Per informazioni sulle imprese Champions clicca qui.