L’acido ialuronico: un polimero che tutti conosciamo a causa delle pubblicità in tv o dei cartelloni pubblicitari che popolano le nostre strade. Questo ‘elisir di giovinezza’ è però, prima di tutto, una delle sostanze più importanti per i nostri tessuti connettivi. Come qualsiasi composto, la sua formula chimica è unica: comprende 14 atomi di carbonio, 21 di idrogeno, uno di azoto e 11 di ossigeno. Pensare che sulla combinazione di questi elementi qualcuno possa costruire più di 1.200 brevetti può sorprendere. Quel qualcuno è un’azienda. E quell’azienda è Fidia Farmaceutici.
Nata nel 1946 a Bologna e trasferitasi nel 1959 ad Abano Terme (PD), la ‘Farmaceutici Italiani Derivati Industriali Affini’ – dal cui acronimo deriva ‘Fidia’ – si è specializzata in tutto ciò che riguarda l’acido ialuronico: oggi lo produce, fa ricerca e poi sviluppa e commercializza prodotti a base di questo polimero e dei suoi derivati. I campi di applicazione principali sono, in particolare, quello del ‘Joint Care’, ovvero il trattamento delle malattie muscolo-scheletriche (che vale quasi il 35% del fatturato), quello oftalmico (l’‘Eye Care’, che pesa per un altro 20%) e lo ‘Skin Care’, ossia il trattamento di lesioni acute e croniche della pelle oltre che il ripristino della barriera cutanea. Sull’acido ialuronico Fidia ha prodotto più di 300 studi clinici.
Questo, nella pratica, significa investire molto in Ricerca & Sviluppo. “In R&D spendiamo poco più del 6% del nostro fatturato”, specifica Carlo Pizzocaro, Presidente e AD di Fidia entrato in azienda quando la holding P&R la rilevò nel 1999. Gli investimenti in R&D spaziano: “Siamo, per esempio, l’unica azienda italiana che ha un farmaco oncologico in fase 3 negli Usa: e questo nonostante non siamo i più grandi del mercato”. C’è orgoglio nelle sue parole quando spiega che all’inizio del 2025 la sua azienda dovrebbe riuscire a testare sull’uomo un prodotto pensato per allungare di dieci anni l’aspettativa di vita di chi soffre di una determinata patologia: senza, a chi ne è afflitto rimangono un paio di anni al massimo.
La ricerca è tutta ‘made in Italy’, perché concentrata nei due laboratori di Abano Terme e di Noto (SR). Quando al Presidente e AD si chiede se le risorse umane per portala avanti ci siano, lui accenna a quello che chiama “un pizzico di fortuna”: “Nel farmaceutico i contratti pagano mediamente meglio rispetto ad altri e questo lo rende un settore tutto sommato attraente”. Ma l’azienda non se ne sta con le mani in mano: “Puntando sui giovani, dobbiamo andare a intercettarli già all’università se non all’ultimo anno di scuole superiori”.
Fidia propone loro dei periodi di stage, ma anche di svolgere lì la loro tesi. Una volta attratti, però, i talenti vanno trattenuti: “Qui, per esempio, offriamo gratuitamente corsi di formazione che vanno anche oltre le specificità del nostro settore: alcuni riguardano la managerialità, altri la gestione del personale. Abbiamo deciso di assumere solo persone che parlano anche l’inglese: allora abbiamo fatto in modo che a tutti i nostri collaboratori sia data la possibilità di fare corsi di lingue”.
La produzione, come la ricerca, batte bandiera italiana, con quattro stabilimenti localizzati tra Nord, Centro e Sud del Paese. Non un dettaglio, se si considera quanto in campo farmaceutico sia centrale il dibattito sul reshoring dal Far East all’Europa. “È uno degli argomenti più importanti adesso, ma bisogna distinguere se si parla di principi attivi o di farmaci finiti – precisa Pizzocaro –. In questo secondo caso il problema è meno sentito perché oggi l’incidenza della manodopera non è così dirimente: semmai lo è un po’ di più quella delle utilities, una su tutte l’energia elettrica”.
La concorrenza asiatica che il nostro continente soffre, dunque, riguarda i principi attivi. “Penso in particolare a Cina e India, che non dovendo rispettare una serie di regole per produrre hanno annientato la possibilità dell’Europa di essere competitiva. Oggi potremmo tornare indietro solo se ci fossero dei contributi da parte dell’Unione, ma ho in mente un solo esempio in cui questo è successo. Non abbiamo nemmeno un sistema di dazi per il mondo dei principi attivi. Inoltre, le scatole dei farmaci non riportano l’origine di ciò che contengono: c’era una proposta di legge che andava in questa direzione, però non è mai passata”.
Se crescere in Italia è stato importante per Fidia, altrettanto si può dire per la strategia di internazionalizzazione che ha messo in atto dal 2011 con l’inaugurazione della sua filiale americana. “È la più importante che abbiamo all’estero, il mercato Usa vale il 12% del nostro fatturato – aggiunge Pizzocaro –. Oltreché in Italia e negli Stati Uniti, negli anni abbiamo aperto in altri undici Paesi. Abbiamo sempre lanciato prodotti nuovi e dove siamo presenti solo con l’osteoarticolare stiamo pensando di allargarci anche all’oftalmologia e allo Skin. Care. Abbiamo fatto anche diverse acquisizioni: insomma, non ci siamo fatti mancare nulla”. L’ultima – la cui chiusura è prevista per la seconda metà del 2024 – è stata annunciata ai primi di giugno e riguarda un asset di quattro prodotti relativi ad alcune patologie ginecologiche della francese Sanofi.
Le operazioni straordinarie si fanno forza di un fatturato che è passato dai 242 mln del 2016 ai 463,5 mln del 2023, mentre l’Ebitda è salito dai 54,5 mln del 2020 ai 90,4 mln dello scorso anno. L’ultimo esercizio si è chiuso anche con un utile netto di 45,2 mln. “Nel 2023 abbiamo registrato un 52% del fatturato in Italia e il restante 48% dall’estero – commenta il Presidente e AD di Fidia –. Nel 2024 il quadro sarà totalmente diverso, con circa un 60% dei ricavi ottenuto grazie all’export”. E l’acquisizione da Sanofi non farebbe che andare in questa direzione: “Parliamo di prodotti ginecologici, che hanno il loro core nel Middle East e nell’Africa Subsahariana e in parte anche in quella mediterranea, cioè dove ancora la natalità è in crescita”.
Soprattutto nel Medio Oriente, poi, l’invecchiamento della popolazione permetterà all’azienda di Abano Terme “di esportare anche i prodotti relativi a ortopedia e oftalmologia”. Se l’accordo con Sanofi andrà in porto, verosimilmente Fidia salirà a circa 540 mln di fatturato e aprirà una filiale in Turchia, “dove però per vedere risultati dovremmo aspettare il 2025”. “In tutto questo – conclude Carlo Pizzocaro – non è escluso che faremo altre piccole acquisizioni tattiche all’estero”. L’elisir di giovinezza funziona per Fidia, che dopo quasi ottant’anni di storia continua a crescere, a rigenerarsi ed evolvere.
Fidia Farmaceutici è una delle 1.000 imprese Champions selezionate dal Centro Studi ItalyPost e L’Economia del Corriere della Sera. Per informazioni sulle imprese Champions clicca qui.