Con il ritorno di buona parte del Paese in zona gialla, si potrebbe dire che si è posta una delle premesse fondamentali per la ripresa del turismo e delle attività culturali: mobilità consentita almeno all’interno della Regione – in attesa che venga confermata per il 15 febbraio la possibilità di spostarsi almeno tra Regioni nella fascia di rischio più bassa – e musei riaperti. Va da sé, tuttavia, che la questione è assai più complessa; e che non è facile per gli operatori navigare a vista tra quel che resta dell’ormai andata stagione invernale e una quantomai incerta stagione estiva.
Per quanto riguarda il capitolo neve, pare ormai assodato che – foss’anche, cosa in cui pochi credono, che si riapra il 15 febbraio – la stagione sia persa. Anche la frenetica corsa alle ciaspole e a sci da fondo e alpinismo, di cui hanno dato testimonianza anche sui media numerosi negozi di attrezzature sportive, non si è tradotta in un parallelo boom degli sport invernali considerati “alternativi”: vuoi per le limitazioni agli spostamenti tra Comuni, vuoi perché scialpinisti non ci si improvvisa, vuoi perché nevicate come non se ne vedevano da anni si sono tradotte in un rischio valanghe rimasto sempre significativo. E dire che da tempo numerose associazioni, Club Alpino Italiano in testa, invocano una via di sviluppo per la montagna alternativa agli ormai anacronistici grandi comprensori sciistici; e sempre il Cai, grazie alle interlocuzioni con il Governo, aveva ottenuto un chiarimento che confermava l’inserimento dello scialpinismo e sci di fondo tra gli sport per il quali era consentito lo spostamento dal proprio Comune anche in zona arancione. Ma, come si diceva, con molti alberghi e ristoranti chiusi – uniche strutture eventualmente utilizzate da chi pratica questi sport – l’impatto di questi sciatori e ciaspolatori sulle attività ricettive è stato pressoché nullo.
Migliori potrebbero essere le prospettive per l’estate, sia per la montagna che per il mare, soprattutto se potranno tornare i turisti stranieri: significativo in questo senso è un sondaggio condotto da Ruefa, la maggiore organizzazione turistica in Austria, su un campione di 4.500 intervistati. Il primo dato che emerge è che quasi nessuno più vuole rimanere a casa. Il 98% ha dichiarato di voler pianificare un viaggio nel 2021, e di questo 98% quasi due terzi pensa a più viaggi, almeno due o tre. Sono valori record, mai registrati in passato. Se nel 2019 gli austriaci avevano ripiegato sui laghi e sui monti di casa, quest’anno la vacanza al mare risulta la più gettonata: e al primo posto viene l’Italia, in particolare il nord-est e le sue spiagge sull’Adriatico, data la vicinanza a casa e la sostanziale impossibilità di viaggiare verso mete lontane. Insomma, i lunghi lockdown si sono (prevedibilmente) tradotti in voglia di evasione, ancor più forte del freno dato dalla coscienza che la pandemia ancora non se ne sarà andata.
E che per l’estate ci siano quantomeno le buone intenzioni, sia da parte dei turisti nazionali che esteri, lo conferma anche un operatore turistico come Pietro Federico Delaini: “Stiamo già ricevendo prenotazioni anche dall’estero – riferisce il titolare del campeggio Bella Italia sul Lago di Garda, e socio privato dei vilaggi GeTur a Lignano e Piani di Luzza – complice anche il fatto che è possibile disdire senza penali per motivi legati al Covid. Certo la pressione mediatica è molto forte: basta una giornata di notizie negative perché fiocchino le cancellazioni, o viceversa perché in molti prenotino. Per cui in realtà è difficile fare previsioni, perché molto dipenderà dallo stato d’animo della gente. E da questo punto di vista è fondamentale anche una politica uniforme a livello di Unione Europea, perché chiaramente le persone si informano sulla situazione sanitaria nel luogo di destinazione, e sulle eventuali restrizioni a cui andrebbero incontro”. La previsione è comunque quella di una Pasqua solo con gli italiani, per poi riprendere a ritmo un po’ più sostenuto con l’estate; e sempre con una prevalenza di turismo nazionale, almeno per quest’anno.
E la fiducia c’è anche nel fatto che la crisi economica legata al Covid non vada ad impattare troppo sulla propensione dei turisti a spendere: “Se è vero che per molti il reddito è calato, è altrettanto vero che si è registrata una crescita dei risparmi – osserva Delaini –: per cui è ragionevole credere che, pur senza sperperi, dopo mesi di permanenza in casa ci sia la volontà di destinare almeno parte di questi risparmi alle vacanze”. E infatti anche il sondaggio di Ruefa sopra citato ha rilevato una propensione al consumo di 2.346 euro a persona.
Rimane poi il capitolo città d’arte, le più colpite dal blocco del turismo, avendo visto pressoché azzerate le proprie attività – i dati di fine 2020 parlano di cali tra l’80 e il 90% nei fatturati delle attività ricettive. Nel Nordest si guarda naturalmente in particolare alla situazione di Venezia, dove il turismo straniero ha storicamente fatto la parte del leone, e che secondo l’osservatorio Otex ha visto il fatturato generato sul territorio dal turismo residenziale calare del 63,74% nei primi undici mesi del 2020; e Federalberghi parla di cali appunto tra l’80 e il 90% per l’alberghiero nello specifico. Di qui la petizione lanciata dall’Associazione Veneziana Albergatori, per misure a sostegno del comparto e dei lavoratori, nel timore che molte attività all’estate nemmeno ci arriveranno e che chi ci arriverà non troverà nel bacino d’utenza nazionale – prevedibilmente maggioritario – flussi sufficienti. In generale, secondo l’osservatorio regionale, nel 2020 in Veneto si sono perse 37 milioni di presenze negli hotel, con un calo di quasi il 60% sul 2019. Per questo molti operatori guadano ora con più fiducia ad un approccio integrato tra città e provincia, quest’ultima tradizionalmente con un bacino d’utenza più locale: è il caso ad esempio di Bologna, che già lo aveva adottato in passato e conta di potenziarlo