Basta accendere la televisione in questi giorni per rendersi conto di come il cambiamento climatico non sia un pericolo così distante da noi nel tempo e nello spazio, ma sia diventato la realtà. E le immagini che ci scorrono davanti agli occhi, le immagini dell’Emilia-Romagna distrutta dalle alluvioni, ci ricordano che viviamo in una vera e propria emergenza climatica che richiede soluzioni sempre più urgenti e necessarie se vogliamo farci trovare preparati ai fenomeni atmosferici estremi con cui dovremo fare i conti sempre più frequentemente. Partendo dal riuscire a prevenire in largo anticipo l’arrivo di queste ondate di “maltempo”, un lavoro che in molti casi può rivelarsi vitale. A fare un punto sulla situazione e a cercare di spiegare cosa ci attende il futuro è stato chi, con il meteo, ci lavora tutti i giorni, in occasione dell’evento “Previsioni meteo più precise: la frontiera dei supercalcolatori” all’interno del Galileo Festival della Scienza e dell’Innovazione. Protagonisti sono stati Carlo Cacciamani, direttore generale Italia Meteo e Matteo Dell’Acqua, direttore Computing and Data Center ECMWF (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine) Bologna, intervistati da Giovanni Caprara, editorialista scientifico Corriere della Sera, direttore scientifico Galileo Festival della Scienza e Innovazione.
A dare il La all’evento è stato naturalmente un bilancio di quanto accaduto alle vicine Emilia-Romagna e Marche negli ultimi giorni, definito da Cacciamani “un evento assolutamente eccezionale. Nel giro di pochi giorni – ad inizio maggio e poi nelle ultime ore – abbiamo avuto in alcune località degli apporti di precipitazioni pari a circa 500 mm. Parliamo di un indicatore che è assolutamente un record per il mese di maggio e che è di fatto la metà della quantità di pioggia che scende in un anno. Ma è stato eccezionale anche perchè non ha colpito un’area limitata, ma una molto estesa. Se vogliamo trovare un aspetto positivo in questa tragica vicenda è sicuramente l’accuratezza della previsione meteorologica. Abbiamo avuto ben 15 vittime, ma dare l’allerta rossa in anticipo ci ha permesso di evitarne molte altre”.
Si tratta di eventi che, come ribadito, sono destinati ad essere sempre più frequenti “perchè stiamo vivendo un’emergenza climatica che ha come indicatore più appariscente l’aumento delle temperature – continua Cacciamani -. Il problema è che questo aumento porta con sè tutta una serie di cambiamenti: cambia la modalità con cui si muovono i cicloni, che persistono nei territori, o al contrario permangono aree di alta pressione. Così come aumenta il numero e la durata delle ondate di calore che poi impattano sulla salute dei cittadini. Insomma dovremo essere sempre più bravi a saper prevedere questi fenomeni”.
É in questo contesto che rientra il ruolo dei supercalcolatori, divenuti assolutamente fondamentali: “Oggi la tecnologia da una parte e l’evoluzione scientifica dall’altra ci permettono di fare quello che 50 anni fa era il sogno di ogni metereologo. A renderlo possibile sono anche i supercalcolatori che realizzano all’istante una quantità di operazioni incalcolabile. In Italia abbiamo più di 5mila sensori e sono stati fatti molti passi avanti in questo campo, purtroppo dopo le tragedie. Ad essere rivoluzionato è stato il monitoraggio sul suolo che poi dà vita alle allerte. E poi abbiamo il sistema di radar meteorologici gestito in parte dalla Protezione civile e in parte dalle regioni che permette di fare degli studi estremamente accurati. O ancora, abbiamo i dati satellitari che inseriamo nei sistemi modellistici per dare un impulso alle previsioni”.
E se da un lato ci sono i numeri e i modelli, le previsioni non possono comunque scindere da un elemento di incertezza. A spiegare una parte del lavoro del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine è Dell’Acqua che sottolinea come “lavoriamo con un modello che è un grosso programma informatico che riproduce i cambiamenti atmosferici. Per far girare questo modello dobbiamo avere un’idea precisa del tempo che c’è sulla Terra. Per questo, ogni giorno riceviamo circa 800 milioni di osservazioni provenienti da satelliti ma anche da aerei, navi, radar. Di queste ne utilizziamo solo 80 milioni e diamo vita ad un modello che nasce da dati controllati che ci permettono di avere un’immagine di partenza più accurata possibile del tempo attuale nella Terra. Certo, poi c’è l’incertezza della previsione. Infatti non facciamo girare solo un modello, ma ne creiamo tanti in parallelo con diverse condizioni iniziali. Prendiamo l’immagine che abbiamo creato – continua – e facciamo delle piccole perturbazioni un po’ dappertutto per poi vedere i risultati. Se tutti i membri di questo insieme vanno nella stessa direzione siamo sicuri che la previsione sia affidabile; se invece i membri vanno in diverse direzioni vuol dire che lo stato iniziale dell’atmosfera ha molto impatto sulla previsione e che l’incertezza è più elevata”.
Se questi modelli restano limitati e basati su valutazioni teoriche, la vera sfida del futuro è, secondo Dell’Acqua “far sì che i nostri sistemi siano capaci di vedere questi fenomeni e di darci la certezza in grande anticipo di ciò che accadrà. Al momento questo non siamo in grado di farlo. Ma fra un mese a Bologna implementeremo la prima evoluzione scientifica del nostro modello di previsione e il nostro insieme passerà da una rivoluzione da 18 km a 9 km. Questo ci permetterà di descrivere molto meglio la superficie della Terra e di arrivare a previsioni più precise degli eventi estremi”.
Certo è che, se il meteo è tanto pericoloso quanto imprevedibile, la vera causa di questo cambiamento è invece molto concreta e si ritrova nell’azione dell’uomo “che ha truccato le carte dell’atmosfera rilasciando enormi quantità di gas serra – conclude Cacciamani – E l’effetto serra di per sè è utile, ci permette di trattenere il calore. Il problema è che ora ce n’è troppo. Quando parliamo di cambiamento climatico parliamo di un cambiamento rapidissimo. Ma siamo noi che rischiamo di estinguerci, non il pianeta. La cosa positiva è che noi abbiamo fatto questo danno, e sempre noi avremo le tecnologie e le conoscenze per rimediare. Ma dobbiamo fare in fretta. Dobbiamo tenerci stretta la Terra che è l’unico posto in cui possiamo vivere”.