“Quando un automobilista supera un camion frigorifero, c’è il 50% di probabilità che il rivestimento del cassone refrigerato sia fatto con le nostre resine. Lo stesso vale per gli scafi delle barche, le pale eoliche, i cavi della corrente, i vassoi o i componenti delle macchine. In pratica, si può dire che da inizio a fine giornata le persone siano circondate da prodotti realizzati con il nostro contributo”. Paolo Rossi, presidente della Sir Industriale di Macherio (Monza Brianza), spiega così l’impatto quotidiano delle attività svolte dalla sua azienda, che produce resine polimeriche per applicazioni industriali disparate e parteciperà al Forum Top Companies di Parma. Sir Industriale fa parte di P&R, il colosso della chimica italiana fondato negli anni Novanta da Francesco Pizzocaro e Pietro Paolo Rossi, che controlla anche la padovana Fidia Farmaceutici e la milanese Olon attraverso le tre holding P&R Chimica, P&R Principi Attivi e P&R Farmaceutici) e ha chiuso il 2023 con un fatturato in calo a circa 130 milioni di euro, dopo una progressione dei ricavi che nel 2022 l’aveva portata a 179,7 mln. Il managing director Marco Bencini (a sinistra nella foto insieme al presidente Paolo Rossi) spiega che il fatturato di Sir Industriale “dipende molto dal prezzo del prodotto finito e quindi l’anno scorso è sceso soprattutto per il calo di questa voce, che invece negli anni precedenti era stata favorita dallo shortage del Far East. E sempre per lo stesso motivo, le nostre previsioni per il 2024 sono stabili”.
Direttore Bencini, quali sono i settori in cui le vostre resine sono più richieste?
“La caratteristica che ci distingue dai competitor multinazionali è che ci siamo specializzati in diversi settori e quindi abbiamo un portafoglio prodotti molto ampio, che copre sia il coating che i materiali compositi. La nostra offerta comprende resine in poliestere solide per le vernici in polvere, resine in poliestere insature per il mondo composito, resine per impregnare le fibre di vetro e un’ampia famiglia di resine epossidiche con applicazioni disparate, dall’anticorrosione al coating alimentare. Ma la nostra specialità è la produzione di indurenti per vernici in polvere, con una capacità produttiva che ci ha consentito di superare il principale competitor e di diventare i leader europei in questo campo. Tra i nostri clienti ci sono sia multinazionali con uffici acquisti e gruppi di lavoro da 15-20 persone che pmi dove invece l’unico interlocutore è il titolare. Il coating è richiesto in settori diversi, dall’elettrodomestico all’automotive, dalle scaffalature all’architecture”.
Cosa comporta questa varietà di prodotti, a livello di organizzazione interna?
“Avere un portafoglio ampio è una complicazione in più, che richiede la gestione di una chimica variegata e quindi un reparto R&D con tante competenze diverse. La soluzione consiste nel coltivare le persone in casa facendole crescere internamente, comprare tante materie prime diverse e conoscere la parte di procurement in maniera estesa. Tutto questo dà delle armi in più per approcciare il cliente e fidelizzarlo, trovando soluzioni ai suoi problemi. Un’altra caratteristica che ci distingue dalle multinazionali infatti è che siamo un’azienda orientata al rapporto con il cliente e alla customizzazione, in grado di modificare il prodotto a catalogo in base a esigenze specifiche. E poi la proprietà è presente in azienda tutti i giorni, quindi c’è un management day by day che vuol dire anche capacità di investire in tempi rapidi ogni volta che si presenta l’occasione giusta, con iter di approvazione molto più snelli rispetto a quelli delle multinazionali”.
Oltre alla concorrenza, c’è spazio anche per qualche forma di collaborazione?
“Le multinazionali del coating a cui ci siamo rivolti si sono fidate di noi a tal punto da affidarci la produzione dei loro prodotto innovativi. Per fare un esempio, lo scorso maggio abbiamo avviato un nuovo impianto costruito ad hoc per il più grande produttore di vernici americano, che sta lanciando un prodotto nel campo del coating alimentare: loro ci hanno dato la molecola e noi abbiamo sviluppato la parte di sintesi, che poi è stata testata e omologata. Da una dozzina di anni a questa parte lavoriamo con grossi gruppi europei e americani che si fidano di noi e usano la nostra società come punto di produzione per l’Europa, affidandoci più volumi e tipologie differenti di prodotto. Non nego che in alcuni casi le tensioni geopolitiche sono state delle opportunità, perché ci hanno consentito di entrare in mercati dove eravamo meno presenti”.
La variabilità delle normative Ue rappresenta un problema? E qual è l’impatto della sostenibilità sul vostro settore?
“Siamo molto attenti al mondo regolatorio e siamo considerati strategici anche per la nostra capacità di leggere i cambiamenti normativi dell’Ue, che sono molto rapidi e sono finiti al centro delle nostre strategie. Prodotti che fino al 2017 sembravano eterni ora sono già fuori mercato e bisogna studiarne altri conformi alle normative, ma con prestazioni equivalenti. La sostenibilità è un tema importante, su cui l’Ue ha preso una direzione chiara: i prodotti sostenibili sono sempre più richiesti, le multinazionali si sono date obiettivi a medio termine su 3-5 anni e quindi chi vuole continuare a essere loro fornitore deve attuare delle decisioni interne. In questo senso, lo scorso aprile abbiamo fatto partire un impianto fotovoltaico su due sedi che copre oltre il 100% del nostro fabbisogno, utilizziamo un sistema di cogenerazione a gas metano e stiamo lavorando per ridurre il consumo di acqua e rifiuti, ma anche per introdurre materie prime da fonti rinnovabili, come resine con una formulazione al 25% di pet derivato da imballi esausti”.
L’export è una voce importante? E quali sono le vostre prossime mosse a livello internazionale?
“Fino al 2012-13 eravamo presenti soprattutto in Italia, poi abbiamo cambiato strategia e ora il 65% del fatturato proviene dall’estero. Abbiamo deciso di spostarci sull’estero perché in quegli anni il mercato italiano veniva da una crisi importante, che ha fatto fallire tante piccole società e allungare i tempi dei pagamenti, e poi perché volevamo uscire da una dimensione limitata. Andare all’estero ci ha portato tanto know how e nuovi campi di applicazione, che ci hanno permesso di crescere anche a livello tecnologico: è una spirale che porta risultati e che ora vogliamo replicare uscendo dall’Europa. Ora stiamo cercando di fare nuove acquisizioni, in particolare di società che ci possono offrire nuove tecnologie, nuovi prodotti e nuovi mercati, a partire da Stati Uniti e Middle East. Ma ad oggi non abbiamo ancora trovato il giusto equilibrio tra appetibilità della società e richieste a livello economico”.