Sembra quasi una casa privata, questo piccolo bistrot dal design minimale e dai toni neutri, con qualche libro da cucina in parete e meno di 25 coperti, ben nascosto nel quartiere di Greco. Qui, dall’incontro di Cinzia, Sara e Giulia, “allieve” di Pietro Leeman e del suo Joia, nasce una cucina vegetale nella sua accezione più alta, forte di materie prime insolite, scelte con cura certosina e nobilitate da maestria tecnica. Le due anime vegetariana e vegana di Altatto si esprimono con cotture alla brace e al vapore, tempura, spume e fermentati, per una proposta fresca e rigorosa, che offre un’esperienza sensoriale completa: così, in Fave e Cacio, le mani assemblano gli ingredienti per creare il proprio boccone: fave alla brace ripiene di crème brûlée ai porri e crema Carena farciscono la focaccia di patate dolci alla brace.
Note dolci e agrumate si incontrano nel Risotto al Castelmagno, contrasto di Saint Germain e polvere di fieno blu greco. Il Green Curry è un’esplosione erbacea di trifoglio, nepitella e taccole, contrastata da una spuma speziata di mandorle che fa volare in India. Lo Shot sferico di caipirinha è preludio elettrizzante del Mari-bao, bao in versione maritozzo, con panna e salsa di noci. Si cena con menù da quattro e sei portate a 45 e 60 euro o alla carta, pescando i singoli piatti dai menù. La carta vini è essenziale: solo etichette naturali, con focus su Slovenia, Italia e Spagna. Infusi, erbe e spezie sono protagonisti di drink originali nel rilassante dehor.