Un agriturismo che, nel suo DNA, mantiene gli aspetti più essenziali e sani di questa formula: l’auto-produzione di quasi tutte le materie prime, sia vegetali che animali, grazie a diverse tenute con vigneti, boschi, pascoli, serre e frutteti. Da queste radici, però, c’è stata una netta innovazione, puntando su un interior design decisamente curato e moderno e sulla scelta di chiamare uno Chef come Riccardo Scalvinoni, che ha evoluto il concetto di ristorazione verso un “agri-fine-dining”.
Ci si diverte con la sua cucina: concreta, materica (e non potrebbe essere diversamente), ancestrale nell’uso della brace e decisamente gustosa, si lancia nell’uso delle fermentazioni, particolarmente del garum. Il suo signature dish è proprio leLinguine al garum di fegato di capra e fegato di capra essiccato e grattugiato: un piccolo capolavoro di umami. Succulento il Piccione, che arriva dal proprio allevamento con una salsa di mandarino arrosto e uno sparring partner eccellente, vegetale: un sedano rapa dalla cottura millimetrica e dalla presentazione elegante come una millefoglie. Sorprendente la Verza, che viene bruciata sulla brace, lasciata “invecchiare” e poi servita con bergamotto e salsa alle acciughe, così come gustosissimo è il Carciofo con la polvere di aglio, olio e peperoncino. C’è la possibilità di orientarsi su proposte, un po’ più tradizionali, alla carta, spendendo sui 60 euro, ci sono poi tre percorsi degustazione a 45, 50 (vegetariano) e 60 euro; quello che assolutamente consigliamo? Il “Faccio io”.