Nella saga Divergent di Veronica Roth, la popolazione è divisa in fazioni. Ogni persona, dopo essere stata sottoposta a un test attitudinale, viene assegnata alla propria fazione che le permetterà di svolgere il mestiere più consono alle proprie naturali inclinazioni. Nella trilogia troviamo i Candidi, i Pacifici, gli Eruditi, gli Abneganti e gli Intrepidi: gruppi con caratteristiche caratteriali definite a cui viene affidato un compito, un ruolo specifico.
Una visione di un futuro distopico dove le tecnologie riescono a concepire e accettare solo gli standard predefiniti, allontanando i divergenti, ovvero persone eclettiche che racchiudono in sé più peculiarità. Com’è possibile allora che oggi, nella realtà contemporanea, sempre più imprese e realtà di consulenza aziendale, stiano implementando software di intelligenza artificiale per delineare e classificare le risorse umane interne alle imprese?
Perché questi strumenti permettono di includere nei propri ragionamenti molte variabili in più, non legate solo alla mera produttività, ma anche ai valori intrinsechi alle realtà imprenditoriali. Per questo l’AI si propone come strumento a servizio delle risorse umane, per una definizione delle competenze professionali e caratteriali interne in linea con l’impresa.
Come abbiamo già sottolineato più volte nel corso di questa rubrica, nei casi di successione o di passaggio generazionale i rischi primari derivano dalla mancanza di pianificazione. Le conseguenze possono essere lievi – ad esempio riduzione della produttività o aumento del turnover di risorse umane causato dalla perdita di fidelizzazione – fino a virare verso criticità quali l’incremento della sfiducia del mercato nel caso trapelino incertezza e incoerenza o addirittura a minacciare la sopravvivenza stessa dell’azienda.
Integrare nei propri processi l’AI, soprattutto nell’ambito delle risorse umane, ha quindi un ruolo strategico che influenza anche l’innovazione culturale aziendale. Sinergia tra umani e tecnologie.
L’applicazione di tecnologie AI ormai non è più rivolta solo alla mera gestione economica, ma anche al capitale umano presente in azienda. I software di apprendimento permettono oggi di definire i KPI chiave (key performance indicators ovvero un valore misurabile che dimostra l’efficacia con cui un’azienda sta raggiungendo i suoi obiettivi) per la valutazione delle proprie risorse umane, monitorando le prestazioni, delineando il loro carattere e seguendo le loro carriere passo passo.
Lo scopo è avere una visione completa e definita del proprio team interno nel caso di turnover aziendale, una fidelizzazione maggiore mostrando una profonda attenzione al percorso di ciascun dipendente nella propria realtà organizzativa e infine la certezza di non avere pregiudizi personali nella fase di valutazione di un professionista.
AI e Competenze La tecnologia a servizio delle risorse umane. In molte aziende strutturate si stanno definendo delle valutazioni delle proprie risorse umane non solo date dall’ufficio di competenza, ma anche analizzate attraverso dei software di gestione dei talenti. Questo modus operandi permette di assicurare all’impresa che ci siano persone con abilità, competenze e affinità elettive pronte a prendere un posto di responsabilità. In questo caso, la crescita dell’impresa è già volta a una strutturazione manageriale coerente e conforme, che mantenga la stessa visione e le stesse idee dell’imprenditore.
Questi piani di successione integrati, tra ufficio risorse umane e software AI, garantiscono soprattutto per i ruoli esecutivi, una continuità che non crei turbolenze dal punto di vista del mercato e reputazionale. L’apprendimento automatico della tecnologia permette quindi di identificare possibili successori su tutti i livelli: dalle competenze ai livelli di produttività, dalla visione alle capacità di leadership.
Quando la tecnologia diventa una rampa di lancio
Il 28 per cento delle imprese italiane ha affrontato il passaggio generazionale dopo che l’erede si è occupato della digitalizzazione dell’impresa. Questo è quanto emerge da una ricerca condotta dal CERIF dell’Università Cattolica. Da questo dato si denota non solo la necessità di programmare in anticipo il passaggio di consegne, ma anche l’opportunità che si presenta nel rinnovare l’impresa sia nella dirigenza che nella tecnologia.
Iniziare ad affrontare il cambio di dirigenza in azienda non sempre è semplice, soprattutto psicologicamente, per l’imprenditore senior. Proprio per questo, affidare al proprio erede (sia esso interno alla famiglia o un pupillo spirituale senza legami germani) come primo impegno strategico la digitalizzazione dell’impresa porta con sé diversi plus come l’avere un banco di prova per valutare come viene vissuta la responsabilità e il garantire migliori performance e una maggiore capacità competitiva a lungo termine attraverso l’implementazione dei proprio processi interni.
Intraprendendo questo iter si avrà una maggiore sicurezza di continuità sia dei risultati economicofinanziari, sia dell’impegno della famiglia imprenditoriale. Infatti, sempre da dati CERIF, si evidenzia che il 90% degli imprenditori senior coinvolti nel passaggio ha ammesso che, dopo aver visto il proprio successore affrontare la digital transformation, ha vissuto il passaggio generazionale con più serenità e fiducia nel futuro.
In futuro solo algoritmi?
Siamo sempre più abituati all’inclusione delle tecnologie di vario tipo nelle nostre attività quotidiane. Una trasformazione tecnologica che entra in maniera prepotente quanto silenziosa nelle nostre vite. Ma riusciranno a governare anche le scelte o a valutare i caratteri delle persone? In un futuro distopico potrebbe anche essere, ma, nella mia visione, il mix vincente umano è insostituibile.
Nello specifico, i passaggi generazionali devono prendere in considerazione competenze, eventuali legami familiari, predisposizioni caratteriali e, soprattutto, quella scintilla intangibile e impalpabile che rappresenta il genio imprenditoriale. Quella non sarà mai programmabile per quanto avanzati potranno essere gli algoritmi.