Il libro sviluppa una serie di riflessioni sui punti di fragilità delle nostre filiere globali. A queste filiere Federico Fubini dedica pagine dense e illuminanti, dando conto degli esiti di una applicazione meccanica delle teorie ricardiane sulla specializzazione produttiva. Le filiere produttive lunghe e globalizzate possono ottimizzare costi e profitti, aumentando però in maniera esponenziale i rischi e la dipendenza commerciale.
È sulla base di osservazioni di questo tipo che qualcuno ha cominciato a parlare di de-globalizzazione, teorizzando le virtù delle filiere corte. Corte fino a tendere allo zero. Ma è proprio nei nostri territori, che più hanno fatto del chilometro zero un ideale da perseguire, che si sono sviluppate anche consistenti realtà aziendali in grado di dare un volto umano alla globalizzazione. La localizzazione diversificata dei siti di produzione e di approvvigionamento si è rivelata idonea a gestire la flessibilità richiesta dalla pandemia e dalla guerra oltre che a consentire una corretta gestione dei rischi.
La differenziazione geografica della produzione e dei mercati di sbocco e di approvvigionamento non rinuncia alle economie della specializzazione produttiva, ma sa equilibrare le economie di scala e le economie di prossimità; l’ottimizzazione dei costi ma anche quella dei rischi.
La gestione del rischio insito nel modello di business non è una preoccupazione diffusa nelle nostre imprese industriali e ancor meno nelle nostre istituzioni pubbliche, che finora non hanno considerato la prevenzione di questi rischi un loro compito. Il grado di ridondanza e di elasticità da introdurre nei sistemi di produzione e nelle filiere di che li sorreggono, deve consentire una risposta adeguata agli choc esterni. Il che significa, per esempio, tenere attivi più canali di approvvigionamento dislocati in aree geopolitiche diverse e «complementari». Aumentano i costi, ma aumenta anche la sicurezza. La dipendenza dal gas russo, dai microchip cinesi, dai grandi player della logistica e via elencando è alla base delle strozzature che le nostre imprese e il sistema Italia si trovano oggi ad affrontare senza disporre di strumenti adeguati. E anche questo ha i suoi costi.
Si tratta di rifuggire le monoculture. Ma non basta, serve anche un supporto pubblico che non deve certo interferire con le specifiche decisioni d’impresa ma proporre strutture e linee guida coerenti. Per le quali servono competenze di cui i nostri apparati pubblici non sembrano più dotati. Se mai lo sono stati in passato.
Fubini non ha dubbi: «Abbiamo visto crescere il corpo della globalizzazione e vogliamo difenderlo da chi vuole il suo opposto, l’arretratezza e l’erosione della libertà. Per quanto mi riguarda voglio difenderlo… ma non abbiamo gli anticorpi né un vaccino a questo modello di globalizzazione». È vero. Dobbiamo lavorarci per ottenerli e rinforzarli con tutti i richiami necessari.
Le difficoltà di adattamento alla nuova realtà hanno cause profonde perché, prosegue Fubini, «restiamo organizzati biologicamente per pensare lungo processi lineari, anche adesso che abbiamo costruito un mondo altamente non-lineare nella sua complessità, connettività, fragilità […] ci siamo illusi che le distanze e i tempi si potessero praticamente annullare, senza pensare che cancellare l’ordine fisico che aveva regnato per decine di migliaia di anni avrebbe comportato anche delle vulnerabilità». Il ripensamento di tempi e distanze è iniziato molto tempo fa e non solo in economia. Infatti, siamo passati dall’unità di tempo, luogo e azione della tragedia greca all’ubiquità dell’epopea postmoderna; dal tempo lineare della fisica newtoniana al tempo indefinito della fisica quantistica; dall’immobilità della fabbrica fordista al nomadismo delle reti (e dei virus). La distanza non è più quella di una volta grazie al Cloud che disgiunge spazio e tempo; e la prossimità non è ancora quella del futuro che con l’«edge computing» si avvia a rilanciare i valori della contiguità fisica sottraendosi ai rischi dell’accentramento del Cloud. Un Cloud che non sta proprio nelle nuvole ma in mostruose concentrazioni di server e di potere, sempre più difficili da maneggiare e controllare.
Per rispondere alla domanda di nuove relazioni organizzative e di mercato, di nuovi modelli di business, di controllo e reindirizzo della tecnologia, di orientamenti pubblici che una volta si chiamavano politiche industriali non c’è molto tempo. Fubini ci ha avvisato in tempi non sospetti che da dentro il vulcano arrivavano boati poco rassicuranti. Scopriamo ora che si trattava di missili e bombe.