Sarà la voglia di riaperture e di vita all’aperto, ma viene da pensare che la pratica concreta dell’open innovation in azienda abbia dei punti in comune con l’andare a vela. Non è solo una questione di team e di rotta, ma anche della possibilità di confrontarsi con il brivido del mare aperto, fuori dal golfo rassicurante fatto del patrimonio di conoscenze e di routine organizzative dell’impresa che abitiamo. Navigare tra le onde alte e nel vento teso può essere necessario e promettente, in contesti nei quali la competizione si gioca spesso tra ecosistemi di business e tra network di imprese che si configurano e ridefiniscono rapidamente per creare prodotti-servizi ad alto contenuto di intelligenza.
Ma che fisionomia può avere in questa prospettiva lo skipper? Una recente ed ampia ricerca condotta da Paolo Bruttini con SFC – Sistemi Formativi Confindustria e CIS – Scuola per la gestione d’impresa su 383 dirigenti e 320 aziende nell’ambito di un progetto commissionato da Fondirigenti, identifica alcuni fattori che tratteggiano il volto dell’Open manager. Abbiamo avuto il piacere di discuterne con lui e con alcuni manager in un corso interaziendale di Niuko, partendo da alcuni nuovi approcci alla leadership che ne enfatizzano le dimensioni etiche e autentiche, oltre che di supporto ai processi di gestione “agile” e “open” dell’innovazione.
Proseguendo con la metafora marinaresca, potremmo iniziare a descrivere il nostro skipper-open manager come un cartografo audace, in grado di immaginare e costruire rotte che altri non riescono a vedere o a considerare praticabili, per andare verso isole ed equipaggi interessanti. Sa affiancare il know-how ad una elevata dose di know-who: sa chi può offrire risorse utili per realizzare i progetti. In una oscillazione lucida ed equilibrata tra “dreaming” ed “execution”, tra capacità di pensare e di “fare”, con il contributo del team, per raggiungere gli obiettivi aziendali. In questo fattore, definito nella ricerca “Innovation purpose”, è contenuta anche la capacità di mettere in discussione le proprie opinioni.
Un secondo aspetto rilevante tra le caratteristiche dello skipper è la tempra. Saper condurre barca ed equipaggio in mari sempre più ventosi richiede una solida fiducia in sé, nel team e nella dimensione “liquida” del mondo, anche nel senso descritto da Bauman, secondo cui sono svaniti i contorni stabili e netti di molti aspetti della vita: non appena una routine sta per consolidarsi, spesso la realtà si incarica di farcela cambiare. Questo insieme di competenze, riconducibile al fattore “Positive expansion” è arricchito anche dall’adattabilità e dall’acume nel capire il business.
Collegato a queste capacità, c’è un insieme di competenze che nel linguaggio del mare un tempo si chiamava “marineria”. E’ l’arte, sempre attuale, del navigare, tra sapere pratico e concettuale, è il conoscere profondamente i linguaggi, gli strumenti e le tecnologie di bordo. E’ anche una certa (muscolare) determinazione e senso di auto-efficacia che concorre a definire il fattore “Pro-agonism”, set di competenze tecniche e trasversali che nel caso dell’open manager ci appare bilanciato dal fattore definito “Peer leadership”. Per lo skipper questo fattore coincide con il saper gestire e motivare l’equipaggio. Per il manager è la capacità di gestire in modo “aperto” il potere, senza rinunciare alla decisionalità connessa al ruolo, ma apprezzando il contributo dei collaboratori alla presa di decisioni. Questa dimensione di “open leadership”, che contiene la competenza di supporto ai subordinati nel crescere professionalmente e avere successo, si nutre della capacità di chiarire i ruoli senza con-fusione (elemento fondamentale sia nelle manovre in mare tra timoniere, randista e fiocchista, che nella vita organizzativa). Ci appare come una dimensione preziosa in particolare nella gestione concreta di quei contesti di innovazione “agile” nei quali per definizione i team sono auto-gestiti e beneficiano della facilitazione, non gerarchica, del ruolo di scrum master.
Un ultimo aspetto che avvicina skipper e manager è la capacità di rivedere e aggiustare la rotta. E’ il fattore “Evolution drive”, la capacità manageriale di aiutare i collaboratori e l’organizzazione ad apprendere, anche attraverso uno sguardo retrospettivo sull’esperienza (tipico dei team agili), considerando l’errore un feedback importante (che arriva dalla realtà, dal mercato, dall’organizzazione) per aggiustare il tiro e per chiudere il cerchio di quello che si è imparato. Considerando che spesso il lavoro manageriale consiste nel navigare nella nebbia dell’incertezza, con una cartografia imprecisa, in uno spazio in cui l’azione che genera significato collettivo e apprendimento, tra ipotesi feedback ed errori, è l’unico radar che permette di vedere lontano.
*Fabio Pierobon, Product Manager Innovazione Niuko