Probabilmente, in nessun altro settore come in quello della produzione di beni e servizi è valida ed attuale l’associazione tra i concetti di tempo e di denaro. Fin dagli albori, il mondo industriale ha sempre dimostrato un notevole interesse nei confronti di metodi produttivi migliori e meno onerosi. Questo interesse è in genere molto accentuato quando i profitti sono bassi e il mercato è fortemente concorrenziale.
Ma quando gli utili crescono, spesso si manifesta la tendenza ad adagiarsi sullo “status quo”, sulla area di comfort, sviluppando una spiccata riluttanza verso qualsiasi iniziativa atta a turbare il positivo stato delle cose. Lo sforzo competitivo della concorrenza non permette tuttavia di mantenere a lungo questo atteggiamento. Anche le aziende più forti e consapevoli della predominanza sul mercato dovrebbero essere consapevoli che non è possibile trascurare lo sviluppo e il miglioramento dei metodi di lavoro. Il produttore che cerca – e naturalmente prima o poi trova – un modo migliore e/o più economico per produrre il bene sarà ben presto in grado di abbassare i costi e quindi i prezzi, conquistando così alla concorrenza porzioni di mercato sempre più cospicue.
Lo stretto legame che unisce efficienza – e quindi riduzione dei costi – con l’organizzazione del lavoro è noto fin dai tempi del fordismo e si basa su una migliore distribuzione dei carichi di lavoro, su metodi precisi, efficaci ma anche flessibili e che sappiano adattarsi alla tecnologia e su un costante controllo delle prestazioni; questo, in ambiti di produzione a lotti, continua o su commessa.
L’elevata diffusione e l’accessibilità alle tecnologie informatiche, attraverso le quali dovrebbe essere possibile uno stretto e aggiornato controllo delle proprie prestazioni, non può tuttavia prescindere dalla conoscenza degli aspetti di base che regolano le attività produttive. I calcolatori e i loro applicativi sono infatti degli strumenti che hanno bisogno di essere alimentati con dati corretti per fornire a loro volta dei risultati significativi. Non è un evento raro che aziende dotate di sistemi e strumenti moderni e sofisticati – ad esempio i classici pacchetti MRP II o i più moderni ERP – si trovino nella condizione di utilizzarli a livelli molto inferiori alle loro reali potenzialità. La carenza – o la mancanza – di parametri fondamentali quali, ad esempio, i tempi standard, possono rendere l’intera catena informativa inaffidabile nei processi di valutazione dei costi o, ad esempio, nelle analisi di pianificazione e programmazione del lavoro.
Il grande salto evolutivo rappresentato da Internet e da tutte le sue innumerevoli sfaccettature applicabili al mondo produttivo – dai motori di ricerca, alle intranet, all’e-commerce, fino ai portali B2B – ha un potere quasi abbagliante per la piccola e media impresa che in essi intravede la soluzione di molte difficoltà produttive e commerciali. Se da un lato è fuori discussione la potenza – e la potenzialità – del mezzo telematico, dall’altro appare sempre più diffusa la tendenza a considerare come secondarie le problematiche più classiche come la riduzione dei costi di produzione e l’incremento dell’efficienza della manodopera.
L’azienda che intende effettuare il salto di qualità, passando dallo status di “officina” a quello di “stabilimento” non può prescindere dall’analisi interna dei propri punti di forza e di debolezza, ovvero della propria organizzazione del lavoro. Non è sempre vero infatti che la riduzione del costo diretto debba passare attraverso un ridimensionamento del personale e un incremento dell’automazione che, se da un lato promette prestazioni operative superiori, quasi certamente riduce la flessibilità e aumenta i rischi di obsolescenza degli investimenti.
Spesso, è proprio nell’ambito delle proprie risorse che possono essere trovate delle soluzioni migliorative con costi e risultati spesso sorprendenti. Accade di frequente che alcune realtà produttive presentino, con il crisma dell’affidabilità, valori di efficienza prossimi al 100% e talvolta superiori senza tuttavia produrre il metodo con cui tale efficienza è stata calcolata. In alternativa vengono proposti criteri di valutazione scarsamente oggettivi o artificiosi che reagiscono in modo inappropriato alla variabilità delle condizioni al contorno.
Una riconsiderazione dell’efficienza secondo il classico rapporto tra lavoro prodotto e lavoro pagato generalmente riporta le fantastiche percentuali di cui sopra ad un livello di oggettiva normalità, talvolta poco gradevole, ma assolutamente realistico.
La causa di questa e altre problematiche che sono ampiamente diffuse è da ricercarsi anche nella mancanza di standard di riferimento. L’inevitabile variabilità delle prestazioni può infatti essere rilevata e valutata efficacemente solo se riferita ad uno standard, il quale, a sua volta, deve essere periodicamente riconsiderato in funzione di variabili di campo di più ampio respiro e di riconosciuta oggettività. Un meccanismo di questo genere consente di effettuare valide considerazioni sulle possibilità di sviluppo e di investimento, riducendo le possibilità di errore – che spesso si concretizzano in sprechi di denaro – e di instaurare politiche di miglioramento e di incentivazione su basi solide e di facile comprensione per tutte le parti.
Lo studio dei metodi e l’analisi dei tempi riveste una rilevanza fondamentale nell’organizzazione economica della produzione. Se dal parametro “efficienza” si trae infatti il valore percentuale della resa in prodotto del capitale investito quotidianamente in manodopera e attrezzature, tale parametro non può prescindere dalla conoscenza dei tempi di utilizzazione delle risorse.
Il problema inerente alla validità della tempistica si protrae da molto tempo tra le parti a causa di alcuni tecnicismi di misura che sono suscettibili di interpretazione soggettiva.
Nella cronotecnica classica l’analista è chiamato a:
- scomporre il carico di lavoro assegnato ad un operatore in una serie più o meno dettagliata di azioni che lo compongono
- misurare ripetutamente il tempo impiegato per l’esecuzione garantendo la validità statistica dei dati raccolti
- assegnare arbitrariamente e soggettivamente un valore di efficienza secondo una determinata scala – tipicamente Bedaux – che tiene conto della prestazione “media” di un operatore “medio”
- elaborare i dati di tempo ed efficienza raccolti sul campo e, mediante le opportune maggiorazioni, determinare il tempo standard
Nell’osservare i diversi passaggi sopra esposti appare subito chiara la componente di soggettività che permea l’intero processo valutativo, in particolare nell’assegnazione del parametro di efficienza. La possibile “contestabilità” che ne deriva si basa sostanzialmente sul fatto che variando le condizioni al contorno – esperienza, capacità e grado di applicazione dell’operatore, momento della misurazione, condizioni ambientali, modalità di rilievo, ecc. – può variare, anche sensibilmente, il tempo standard che quindi perde la prerogativa di “riferimento” per la quale è stato ricercato ed elaborato. È inoltre un fatto che gli analisti interni all’azienda sono spesso condizionati dall’ambiente di lavoro e quindi la loro obbiettività può facilmente essere messa in discussione.
Verso il 1950 è stato messo a punto un diverso sistema di determinazione del tempo standard basato sull’analisi dei micromovimenti elementari e chiamato MTM (Methods-Time Measurement). Dopo aver filmato – su pellicola – qualche migliaio di ore di lavoro in diversi ambienti industriali, gli autori (Maynard, Stegemerten e Schwab) hanno analizzato e suddiviso ogni possibile azione – ad esempio la presa di un utensile o la rotazione di un volantino – in una serie di micromovimenti elementari – afferrare, rilasciare, applicare pressione, ecc. – e ne hanno determinato il tempo medio di esecuzione nelle diverse situazioni. Attraverso un processo di parametrizzazione, ogni micromovimento è stato successivamente “tabellato” in funzione di una o più variabili quali la distanza oppure il peso piuttosto che il posizionamento degli oggetti o degli utensili da raccogliere.
Appare quindi fin d’ora chiara la potenzialità di una simile metodologia: il tempo non viene più determinato contestualmente al lavoro ma può essere determinato anche fuori dal contesto produttivo assiemando la serie di micromovimenti che compongono il ciclo – ovvero il metodo – che si intende studiare. Questo significa che:
- l’intero ciclo di lavoro è composto da una successione di micromovimenti elementari
- il tempo standard è dato dalla somma dei tempi relativi ai micromovimenti
- a seguito di una variazione del metodo di lavoro, il nuovo standard può essere determinato rivedendo semplicemente i movimenti elementari
Un ulteriore aspetto di sicuro interesse della metodologia MTM risiede nelle intrinseche possibilità di progettazione del metodo e di contestuale preventivazione dei tempi. Grazie alla predeterminazione dei tempi è infatti possibile costruire, ricostruire e modificare i propri cicli produttivi verificando l’attinenza e la conformità dei tempi rispetto a quanto previsto; è possibile scegliere, tra varie metodiche proposte e senza metterle in pratica, la migliore in termini di tempo; è possibile valutare quale tipologia di operazioni rappresenta il fattore critico di un ciclo. La tecnica consente, oltre a quanto già descritto, di valutare, ad esempio, se il costo di manodopera addebitato da terzi fornitori sui preassemblati è congruente con il metodo di lavoro dichiarato o desumibile.
La caratteristica che rende valida la metodica MTM rimane comunque il forte grado di oggettività della misura. Il metodo di progettazione e costruzione del ciclo è infatti trasparente, privo di soggettività e i tempi dei micromovimenti sono praticamente incontestabili; rimane in gioco solo il fattore di maggiorazione che, rispetto al parametro di efficienza visto in precedenza, presenta una gestibilità sensibilmente migliore.
Una possibile considerazione su quanto finora scritto potrebbe essere quella di chiedersi per quale motivo una simile opportunità non sia già stata colta dal mondo industriale, che invece le ha preferito il classico sistema cronometrico. La spiegazione risiede nel fatto che l’analisi MTM richiede una valutazione molto più attenta del ciclo produttivo. Tale analisi può essere effettuata con estrema facilità se si dispone di una ripresa visiva del ciclo, anche se il lavoro viene svolto da un operatore totalmente inesperto, con la sola ed unica condizione che il metodo venga rispettato nei dettagli.
In mancanza del supporto filmato, la raccolta delle informazioni risulta molto gravosa; un ciclo della durata di 10 minuti comporta la stesura di circa 500 micromovimenti elementari (variabile in funzione della tipologia di lavoro considerata). È questo il motivo principale per cui, in passato, questa tecnica è stata trascurata o pesantemente rivista con forti limitazioni delle potenzialità.
Con le attuali disponibilità tecnologiche – in tal senso basti pensare alla diffusione di videocamere e di personal computers – questo problema è stato superato e si presume che l’MTM possa diffondersi o comunque venga diversamente considerato nel panorama industriale. Per quanto attiene in particolare alle problematiche legate all’utilizzo di strumenti di videoripresa all’interno di unità produttive, si vuole ribadire che, a differenza dei sistemi classici, la tecnica dei tempi standard predeterminati si basa sulla conoscenza del metodo di lavoro e non è vincolata in alcun modo alle prestazioni degli operatori. Il filmato può riguardare esclusivamente le singole azioni produttive che compongono il metodo e non il tempo impiegato a svolgerle e può quindi essere effettuato al di fuori del normale orario di lavoro, anche da personale indiretto o addirittura esterno.
La migrazione da cronotecnica a MTM richiede l’accesso ad una serie di competenze che non sono particolarmente onerose. L’aspetto che ricopre la maggiore rilevanza è la precisione e la coerenza nella compilazione nei modelli di ciclo; a tale scopo è opportuno che l’analista effettui un adeguato periodo di training sotto la supervisione di personale specializzato. Al termine di un breve ciclo di apprendimento l’analista è in genere in grado di implementare autonomamente ed efficacemente la metodica integrandola con esperienze cronotecniche che, comunque, non perdono la loro applicabilità nelle soluzioni di dettaglio.
A seguito di un limitato investimento iniziale di risorse, l’azienda potrà quindi contare sul possesso di un archivio dei cicli produttivi che ha le caratteristiche di essere oggettivo, di facile consultazione, aggiornabile o modificabile economicamente e senza ricorrere a periodiche – e costose – campagne di rilevazione cronometrica a tappeto.
Sotto il profilo numerico, esperienze sul campo hanno dimostrato che l’MTM, al primo approccio, può consentire riduzioni dell’inefficienza anche superiori al 20-30% garantendo, nel contempo, una buona adattabilità ai vari contesti produttivi; sono infatti molte le aziende che, anche lavorando su commessa, utilizzano cicli standard o comunque facilmente parametrizzabili.
Concludendo, sembra opportuno ribadire che l’analisi dei metodi e dei tempi rappresenta solamente uno degli strumenti a disposizione dell’organizzazione industriale per la determinazione e il miglioramento di quello che può essere considerato il più importante dei parametri produttivi: l’efficienza. Un utilizzo efficiente della manodopera diretta e una metodica di esecuzione razionale rendono infatti il lavoro qualitativamente migliore e più proficuo